Lenny Abrahamson

Frank, di Lenny Abrahamson in DVD

Sono passati due anni da quando Frank di Lenny Abrahamson è arrivato al cinema, ma la strepitosa “I love you all” continua a risuonare nelle nostre orecchie. Così come il carisma di questo musicista dalla personalità e dal talento fuori dal comune, che non vuole mostrare al mondo la sua faccia, ma non teme di regalargli canzoni indimenticabili. Il film, liberamente ispirato al personaggio di Frank Sidebottom, alter ego del musicista e comico britannico Chris Sievey, è stato presentao al Sundance Film Festival nel 2014 e ha riscosso un enorme successo in tutto il mondo, grazie anche all’interpretazione di Michael Fassbender che, pur dovendo indossare una maschera che annullava completamente sua mimica facciale, è riuscito a trasmettere al pubblico tutte le emozioni di questo bizzarro personaggio.

Al link trovate la recensione completa di Frank

IL DVD

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REGIA: Lenny Abrahamson INTERPRETI: Michael Fassbender, Domhnall Gleeson, Maggie Gyllenhaal, Scoot McNairy, Carla Azar TITOLO ORIGINALE: Frank GENERE: Commedia DURATA: 92′ ORIGINE: Gran Bretagna, Irlanda, 2014 LINGUE:  Italiano 5.1 Dolby Digital, Inglese 5.1 Dolby Digital SOTTOTITOLI: Italiano EXTRA: Trailer, Interviste, Making Of  DISTRIBUZIONE: Koch Media

L’edizione in DVD di Frank firmata Koch Media offre un prodotto di altissima qualità visiva e narrativa, impreziosito da una confezione accattivante, che gioca graficamente con l’immagine del protagonista, creando piacevoli effetti cromatici. Inoltre l’edizione può vantare una nutrita sezione di contenuti speciali, tra cui il Making Of, che mostra la preparazione di Michael Fassbender durante le riprese del film, lo studio del personaggio e il dietro le quinte nella registrazione delle sequenze che hanno come protagonista la musica, anche questa valorizzata al massimo dalla qualità audio del DVD. Ma la sezione più ricca è senza dubbio quella delle Interviste, che oltre al regista Lenny Abrahamson e all’attore protagonista Michael Fassbender, vede coinvolti tutti gli attori che hanno preso parte al film, tra cui Domhnall Gleeson, Maggie Gyllenhaal, Scoot McNairy, Carla Azar, che raccontano la loro esperienza sul set, in particolare in relazione alle performance musicali che costellano tutta la pellicola e  al personaggio di Frank che, essendo celato tutto il tempo dietro la sua bizzarra maschera, è stato una vera e propria sfida per tutti i personaggi. Altrettanto interessante è il punto di vista dello scenografo  Richard Bullock, creatore della famosa maschera e del compositore Stephen Rennicks, che con le sue musiche ha contribuito non solo a creare Frank, ma a caratterizzare lo stile di tutto il film, che senza la sua incredibile colonna sonora non sarebbe lo stesso.

Room, di Lenny Abrahamson

C’era una volta il piccolo Jack, che insieme alla sua Ma viveva in ‘Stanza’… Nella Stanza la vita scorre attraverso giornate identiche scandite da azioni ripetitive e presenze costanti: ci sono i silenziosi e immobili amici ‘Lampada’, ‘Lavandino’ e ‘Sedia’; c’è la scatola magica ‘Tv’; c’è l’irraggiungibile ‘Lucernario’ che si affaccia sull’ indeterminabile spazio; ci sono le irruzioni notturne di ‘Old Nick’, misteriosa presenza che ogni sera si infila per qualche ora nel letto di Ma mentre Jack sta nascosto dentro ‘Armadio’, fino a quando, sparito l’ospite notturno e ritornata la luce, tutto ricomincia uguale. All’indomani del suo quinto compleanno Jack però sente che qualcosa è cambiato: nuove domande e nuovi bisogni iniziano ad emergere dentro di lui, manifestandosi in un’irrequietezza crescente e incontrollabile. Il riflesso di tutto ciò è la sua Ma, sempre meno sorridente, sempre più inquieta e pensierosa, fino a rivelare una sconvolgente verità: fuori c’è un mondo molto più grande e complesso, fatto di persone, animali e cose reali, e per loro due è arrivato il momento di uscire dalla Stanza e raggiungere l’unica vera casa.

Room, l’ultimo film di Lenny Abrahamson, tratto dall’omonimo romanzo di Emma Donoghue (che è anche la sceneggiatrice del film), si presenta fin dall’inizio allo spettatore come continuamente oscillante tra l’invito ad una sospensione dell’incredulità e il richiamo ad una presa di coscienza della realtà. Se il suo soggetto trae indubbiamente ispirazione dalla cronaca più amara e attuale, esso  è tuttavia rappresentato attraverso una doppia lente straniante: quella della favola raccontata da un bambino di appena cinque anni, ed è indubbiamente questo particolare il principale punto di forza del film. Di fronte ad una storia di reclusione, abuso e disagio due sembrerebbero infatti le strade: quella del thriller o quella del dramma; Room invece scardina qualsiasi regola formale imposta dalla tradizione cinematografica e, rifuggendo sia cupezza che patetismo, assume interamente l’ottica leggera sincera e spontanea del suo piccolo narratore protagonista, sì da cogliere e coniugare ricchezza e profondità.

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Non vi è traccia di retorica, né di pornografia emotiva nell’opera di Abrahamson, che sapientemente sceglie di lavorare in sottrazione, con uno sguardo mai invadente, ma al contrario delicato e sensibile in un distacco che preserva e anzi valorizza l’autenticità di abbracci, sguardi o di qualsiasi altro momento d’intimità, in cui alla fine a trionfare sono dolcezza e tenerezza. Uno sguardo e una sensibilità, quelli voluti dal regista, che  guidano lo spettatore anche quando la storia continua al di fuori della stanza, determinando una cesura e una divisione in due parti del film che rappresentano l’ennesima scelta forte e ‘rivoluzionaria’ del regista. Una scelta però ancora una volta vincente, poiché se in un primo momento lo spettatore risulta quasi disturbato dall’insolito invito ad andare oltre il rassicurante e liberatorio ‘happy ending’, alla fine è proprio nel prosieguo della storia che si nasconde una più completa catarsi, oltre che una completezza e un’onestà maggiori non solo dal punto di vista narrativo, ma soprattutto da quello psicologico e sociologico.

C’è tanto, tantissimo in  Room: ci sono, s’è già detto, l’abuso e la reclusione, c’è la difficile relazione tra genitori e figli, c’è il tema della crescita e quello della famiglia, c’è la denuncia dei meccanismi perversi e della violenza dei media; eppure tutto trova il suo posto e si armonizza in un film potente e leggero tanto quanto le magnifiche interpretazioni dei suoi due indiscussi protagonisti: Brie Larson (vincitrice, grazie a questa interpretazione, dell’Oscar 2016 come ‘Miglior attrice protagonista’) e lo sbalorditivo Jacob Tremblay, di appena dieci anni.

Se è vero che nel mondo d’oggi – e nelle manifestazioni artistiche da esso scaturite – qualsiasi utopia risulta ingannevole e lascia il posto a realtà distopiche, Room non nega ed anzi rispetta tale assunto, ma nel farlo mostra la rara virtù (dal sapore calviniano) di riuscire a trovare in mezzo all’inferno ciò che inferno non è, lasciando che bellezza e dolcezza ci salvino con sincerità.

Frank, di Lenny Abrahamson

Chi è Frank? Uno straordinario talento musicale capace di sprigionare una melodia da tutto ciò su cui si posa il suo sguardo, o un pazzo, incapace di accettare la propria immagine che indossa un’enorme testa di cartapesta anche sotto la doccia? Questo essere misterioso sembra essere stato catapultato sulla terra con l’unica missione di guidare il suo gruppo dal nome impronunciabile, i Soronprfbs, e di cementare l’alchimia che li unisce sul palcoscenico solo in sua presenza, solo grazie all’amore che lega Frank a ognuno di loro, con o senza il suo testone addosso. La reazione del pubblico alle loro esibizioni, che sia di sconcerto, di curiosità o di disinteresse, non tocca minimamente quel volto inespressivo né il viso che ne porta il peso, perché tutto ciò che interessa a Frank è la musica, l’emozione che è in grado di scatenare e l’infinita gioia della creazione, che alleggerisce la sua mente oppressa e la porta lontano dal mondo.
Il lentiginoso Jon come lui compone musica per fuggire dalla sua minuscola città, per cambiare vita e trovare la fama che merita, ma il suo talento è troppo debole per sfondare, fino a che un giorno all’improvviso si imbatte in Frank, che domina il palcoscenico con la sua forma surreale. Frank gioca con la voce con una naturalezza invidiabile e Jon, rapito dalla sua musica, non può resistere al richiamo di un’avventura selvaggia gomito a gomito con questo talento naturale, nella speranza di trovare la sua strada solcando la sua e di cambiare la storia della band.

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Frank è una fonte di ispirazione insostituibile nella vita artistica e in quella personale di ogni membro del gruppo, sempre misurato nei giudizi e disponibile ad ascoltare le idee degli altri per fonderle con le sue, senza preconcetti o ambizioni prevaricatrici, per il solo piacere di creare qualcosa insieme. La sua testa posticcia è l’essenza della sua arte e l’unica cosa in grado di metterlo in armonia con il mondo, per questo non la toglie mai. Non ci sono fotografie che lo ritraggono, nessuno sa che aspetto abbia e non c’è neanche nessuna prova che abbia mai avuto fattezza umane. Chi lo conosce deve soffocare la curiosità e amarlo così come appare, un enorme viso inespressivo  in cartapesta su un corpo umano, perché se perdesse la sua maschera svanirebbe anche il potere ipnotico che porta con sé.
Allo stesso modo l’unico modo per amare questo film è innamorarsi perdutamente di Frank, seguirlo nelle sua folle avventura musicale senza chiedersi mai chi si nasconde davvero dietro la maschera e senza la pretesa di scoprire il segreto del suo talento. Perché la musica è il suo volto ed è attraverso la musica che esprime a pieno il suo potenziale. E la musica è il codice per decifrare questa storia surreale, in cui il disagio sociale e psicologico di tutti i personaggi non sorpassa mai il valore della musica che sono in grado di tirare fuori da un filo d’erba che oscilla al vento, e l’unicità di un gruppo che si nutre della sua stessa arte, lontano da un pubblico incapace di comprendere il valore reale della sua musica, e smanioso soltanto di guardare cosa accade dietro le quinte della vita del fenomeno da baraccone del momento.