Osment

Festival di Roma 2014 – Tusk, di Kevin Smith

Samuel Taylor Coleridge racconta la storia di un vecchio marinaio che durante una spedizione in mare rimane vittima di una tempesta insieme al suo equipaggio e, preso da un impeto di disperazione, uccide con un colpo di balestra un albatros che si è appollaiato sull’albero maestro. L’uccisione dell’innocente copre il cielo di nuvole scure e trasforma le acque che circondano la nave nella bocca dell’inferno che risucchia tutti i marinai in un abisso di morte, eccetto colui che ha ucciso l’albatros. La condanna per il marinaio che ha compiuto il misfatto è quella di sopravvivere e vagare per il mondo raccontando incessantemente la sua triste storia per espiare la sua colpa.
Come il marinaio di Coleridge, anche l’inquietante Howard Howe aveva trascorso molti anni per mare e qui aveva fatto l’incontro più incredibile della sua vita: un tricheco che gli aveva salvato la vita dopo che una tempesta aveva distrutto la sua nave e lo aveva scaraventato alla deriva. Il tricheco lo aveva stretto tra le sue carni calde e protetto dal freddo dell’Antartide, e gli era stato fedele più di qualsiasi essere umano, fino a sacrificare la vita per lui. Howard lo amava profondamente, al punto da dargli un nome umano: Mr Tusk. Ma era anche un giovane impetuoso e non riusciva a trattenere la fame, così non aveva esitato a sventrare il tricheco innocente e a cibarsi di lui in attesa di essere portato in salvo.

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Il tradimento di questa amicizia e il ricordo di questo atto sanguinoso ai danni di chi lo aveva salvato ha continuato a tormentare Howard per il resto della sua vita. La sua missione è trovare un ascoltatore delle sue storie, un compagno di viaggio immaginario che possa vivere costantemente al suo fianco e vestire, non metaforicamente, i panni del tricheco Tusk, meticolosamente ricostruito con zanne di osso e brandelli di pelle umana. La storia del folle Howard attira l’attenzione dei media e molti curiosi accorrono alla sua dimora dispersa nei boschi del Québec, ingenuamente inconsapevoli che non si tratta di una leggenda metropolitana che colora le pagine dei giornali, ma di una trappola sofisticata, al limite della comprensione umana. Wallace Bryton, uno dei podcaster più irriverenti del momento, è uno dei tanti sprovveduti che si avventurano sulle tracce del misterioso Howard Howe per portare a casa il servizio più assurdo mai realizzato. Armato di spavalderia, irrompe nella mansion e rimane immediatamente incastrato in una trappola verbale di citazioni colte annodate a storie affascinanti, che lo lega al tavolo e lo lascia completamente in balia del vecchio marinaio.

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La follia irrompe in ogni scena, sotto forma di immagini disturbanti che giocano con tutti sensi, passando dal disgusto al godimento sadico, dall’esplosione di riso alla compassione. Kevin Smith non smette mai di giocare con le sue creature e trae un profondo divertimento dalla creazione di un universo paradossale, assurdo, in cui l’umorismo nero bilancia costantemente l’orrore, in un miscuglio perturbante di percezioni, che parodizza consapevolmente il cinema horror e lo porta su un livello di follia raramente raggiunto fino ad ora, in cui il demenziale non attenua l’inquietudine ma la accentua, e colpisce lo spettatore nel profondo delle viscere, lasciandogli addosso il senso di colpa per aver assistito goliardicamente alla creazione di un mostro.