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Arturo Ué ovvero “Brecht a fumetti”, di Fabio Cavalli

Si alza ancora una volta il sipario sulla compagnia dei detenuti attori della Sezione G12 Alta Sicurezza della Casa Circondariale di Rebibbia per la messa in scena dello spettacolo Arturo Ué ovvero “Brecht a fumetti” , tratto da La resistibile ascesa di Arturo Ui di Bertolt Brecht, adattato e diretto dal regista Fabio Cavalli.

La Casa Circondariale di Rebibbia è un purgatorio alla periferia di Roma, un luogo di passaggio tra la vita che era e quella che sarà, in cui migliaia di anime vengono traghettate nell’attesa di trasformarsi in uomini nuovi. Ma qui il tempo è troppo lungo per restare fermi, per aspettare il verdetto della legge crogiolandosi nell’inattività, perché la sete di cultura è ardente quanto quella di giustizia e l’arte è una finestra sempre aperta su un mondo altrimenti irraggiungibile. L’arte ha il potere di abbattere le mura insormontabili di questa fortezza e di passare attraverso i cancelli blindati che la isolano dalla città, per portare l’anima fuori dallo spazio che la tiene reclusa, facendola viaggiare nello spazio e il tempo. Dante, Shakespeare e Brecht sono proprio qui, serpeggiano tra i corridoi della casa circondariale e nei discorsi dei suoi abitanti, e continuano a vivere su questo palcoscenico nascosto agli occhi della città per raccontare le loro storie attraverso nuove voci, forse poco avvezze alla poesia, ma di sicuro esperte del mondo e dei crimini denunciati dai grandi della letteratura.

Arturo 1

Dall’omicidio spietato di Giulio Cesare per mano dei suoi congiurati, messo in scena in Cesare deve morire, all’ascesa al potere di Arturo Ué, un gangster senza scrupoli che elimina i suoi rivali uno dopo l’altro per ottenere il controllo assoluto del commercio dei cavolfiori nel porto di Chicago, a Rebibbia l’arte racconta la realtà attraverso la finzione, senza censure e senza condanne, con gli strumenti che gli sono più congeniali. I testi teatrali sono cuciti addosso agli attori dalla mano sapiente di Fabio Cavalli, che non snatura le diverse personalità della sua compagnia e il loro background culturale, ma al contrario ne trae ispirazione a piene mani per caratterizzare i personaggi del dramma con le diverse cadenze regionali e dargli uno spessore drammatico altrimenti irraggiungibile. Arturo Uè è un personaggio di finzione eppure ha un aspetto estremamente familiare e realistico. Il suo costume è la maschera di uno dei gangster che negli anni Trenta seminavano terrore sulle coste americane, o quella di Hitler, il dittatore sanguinario con baffetti e bastone alla Chaplin, o ancora quella della criminalità dei colletti bianchi, abilmente celata da un’apparenza impeccabile, che ogni giorno ammicca dalle prime pagine dei giornali. Sul palcoscenico di Rebibbia, Arturo e i suoi scagnozzi sono tangibili, parlano un dialetto sin troppo noto e hanno la straordinaria capacità di rendere verisimile un testo tradotto dal tedesco, adattato in italiano, e imbastito da Cavalli in un rima raffinata per tutta la sua durata.

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Il realismo linguistico si pone in netto contrasto con una messa in scena surreale, in cui il formalismo della rima trova il suo contraltare nella scenografia fumettistica realizzata da Alessandro De Nino. Tutti gli oggetti di scena,  dalle pistole alle automobili, sono disegnati su cartoncino, visibilmente fasulli, e hanno il compito di inscrivere l’opera brechtiana in una cornice allegorica, che affronta con leggerezza apparente gli intrighi che si susseguono sulla scena uno dopo l’altro, i regolamenti di conti tra bande rivali e i crimini impuniti di Arturo Uè. La finzione dichiarata concede una libertà d’espressione più ampia, a Brecht come ai suoi interpreti, e libera l’arte dall’obbligo di denunciare gli orrori della realtà, ponendosi in una posizione distaccata, che allude senza assumersi la responsabilità di prendere una posizione. Il verdetto finale è affidato allo spettatore e alla sua capacità di scrutare sotto la superficie del testo, dietro i fumetti e nel sottotesto di quelle rime brillanti, per tracciare un suo personale giudizio morale ed estetico, ridefinendo i confini tra bene e male sulla base degli stimoli visivi e sonori a cui questo teatro lo sottopone.