14, di Peter Clines

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Il miglior posto in cui nascondere un albero è una foresta. È questo semplice quanto veritiero motto a far da base al romanzo 14 di Peter Clines, edito in Italia da Multiplayer.it Edizioni.

Nate Tucker ha passato i trenta, ha un lavoro precario, pochi soldi e deve traslocare. Los Angeles potrebbe offrirgli solo appartamenti scadenti nella periferia sterminata, ma la città degli angeli preferisce regalargli l’opportunità di trasferirsi nel Palazzo Kavach, edificio di fine ‘800 che sorge su una delle colline che attorniano la metropoli. L’appartamento è bello, ha una splendida vista, una sala relax in comune e soprattutto l’affitto è basso, incredibilmente basso. Le tasche di Nate esultano e in un paio di giorni l’appartamento 28 diventa la sua nuova casa.
Palazzo Kavach non fa aspettare molto prima di rivelare al trentenne squattrinato le sue incongruenze, i piccoli misteri che dimorano tra le mura dell’edificio storico. Agli scarafaggi mutanti si somma la planimetria variabile di ogni appartamento, la strana rete elettrica, i lucchetti sulla porta numero 14. Piccoli indizi, orme lasciate da un passato che non ha mai abbandonato il palazzo e che Nate e gli altri inquilini decidono di non ignorare, fino a quando la verità non li risucchierà in un gorgo da cui sarà sempre più difficile uscire.

14 è un romanzo il cui pregio maggiore è quello di dar vita ad un cast credibile, in cui Nate emerge come punto di riferimento per il lettore, ma in cui i coprotagonisti hanno uno spessore che non permette che vengano adombrati. La Scooby band, come verrà chiamata in più occasioni, si avvale delle conoscenze, delle particolarità, delle capacità e dei caratteri di ogni personaggio per far progredire la storia, per lacerare quel velo opaco che cela la realtà di Palazzo Kavach.

Forse definirlo un thriller apocalittico è un’esagerazione, ma ci sono buoni elementi per rendere 14 un libro da leggere in spensieratezza. I capitoli sono brevi e rapidi, piccole porte che si aprono su stanze con altre porte, in un meccanismo bulimico per cui si va avanti nella lettura alla ricerca di qualcosa che possa sfamare la propria curiosità. La scrittura è semplice e scorrevole, con qualche pecca di ingenuità o farraginosità in alcuni punti, ma i dialoghi sono realistici e credibili come le psicologie dei personaggi, affatto esenti da pecche caratteriali come è giusto che sia.

Peter Clines cerca di creare un limbo tra il nostro mondo e le atmosfere di H.P. Lovercraft, un tunnel tortuoso e buio che può essere rischiarato ad ogni passo, ma le cui fattezze potranno essere comprese solo alla fine. Dietro ogni porta si cela un pezzo di puzzle, l’intonaco copre un passato che non è mai sbiadito. Un mattone dopo l’altro Palazzo Kavach acquisisce una fisionomia al pari dei personaggi umani e diventa l’indiscusso protagonista del romanzo, anche se con qualche crepa qui e lì e qualche traccia di intonaco scrostato.

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