A Quiet Place II, di John Krasinski

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Non far rumore, non muoverti, non respirare. Loro possono sentirti. Ogni passo, ogni crepitio, può essere fatale. Per questo la famiglia Abbott ha costruito un sentiero di sabbia nel bosco, sui cui camminare a piedi scalzi, per attutire ogni rumore. Ora però è giunto il momento di avventurarsi oltre il sentiero, di esplorare il mondo, o quello che ne è rimasto, per sopravvivere, spingendosi oltre il bosco, oltre il loro nascondiglio, lasciandosi il passato alle spalle.

Sono passati tre anni da quando John Krasinski con A Quiet Place ha posto un nuovo tassello nel genere thriller-horror costruendo tutta la sua narrazione sul silenzio, in un universo immaginario in cui il rumore è diventato il nemico nel momento in cui un’invasione aliena ha portato sulla terra delle creature assetate di sangue, sensibili unicamente ai suoni. In una manciata di secondi il mondo per come lo conoscevamo si è trasformato in un incubo, la vita quotidiana in un survival-horror in cui tutto ciò che produce un suono viene immediatamente attaccato, fatto a pezzi e divorato.

In questa apocalisse la famiglia Abbott ha cercato di ambientarsi, creando nell’orrore una dimensione di tranquillità, una quotidianità in cui le parole, e la musica sono banditi, è vietato uscire di casa senza un fucile e non può mancare il coraggio di uccidere a sangue freddo qualunque creatura minacci la propria vita o quella di un membro della famiglia.

Nonostante gli Abbott abbiano imparato a conoscere i mostri, ne abbiano studiato i punti deboli e capito come sopravvivere senza essere attaccati, o perlomeno limitando gli attacchi, il primo film della saga ha visto due grandi perdite, il piccolo Beau che per errore accende un areoplanino nel bel mezzo del bosco, e il suo papà Lee, che si sacrifica per far sfuggire il resto della famiglia ad un feroce attacco delle creature.

Così il secondo capitolo di A Quiet Place inizia in medias res, riavvolgendo l’azione dal punto in cui si era interrotta. Della famiglia sono rimasti solo Evelyn (Emily Blunt), i due figli, Regan e Marcus (Millicent Simmonds e Noah Jupe) con al seguito l’ultimo nato, che viaggia in una scatola di legno collegato ad una bombola d’ossigeno per non far sentire alle creature pianti e singhiozzi.

Così organizzata, la famiglia parte alla ricerca di nuovi nascondigli, fonti di sostentamento e anche di possibili superstiti con cui allearsi e continuare insieme il cammino. In questo viaggio un ruolo importantissimo lo giocherà Regan, che imbraccia letteralmente, oltre al fucile, le sorti della famiglia, spingendosi oltre i limiti del bosco in cerca di una speranza di salvezza.

Il suo coraggio apre scenari imprevisti, in cui non solo le creature aliene rappresentano una minaccia, ma anche gli umani sopravvissuti abbrutiti da un mondo crudele, costruito sulla paura, in cui i mostri hanno preso il sopravvento e l’essere umano, per quanto forte o furbo possa essere, rischia di soccombere ad ogni passo.

Su questa sensazione di pericolo costante Krasinski costruisce anche il suo secondo film, che ricalca le orme silenziose del primo, senza perdere neanche per un istante la sua carica emotiva. Ogni scena è imbastita nella paura, nel terrore di un attacco incombente, e non c’è mai un momento in cui tirare un respiro di sollievo, riposare, o forse piangere i propri morti, prima di rimettersi in cammino.

La tensione è costante, alle stelle, e i mostri sono inarrestabili. Nonostante tutti i tentativi degli umani di combatterli, si sono evoluti e sono ancora più letali. Per questo è necessario che gli Abbott e i loro nuovi alleati mettano in campo tutti gli strumenti in loro possesso per contrastare l’avanzata del male e ricostruire in un posto sicuro una vita se non uguale alla precedente, perlomeno abbastanza confortevole da poter vivere i rapporti umani senza timore, parlare, piangere, urlare il proprio dolore e ridere forse, senza essere fatti a pezzi. Questa però è una speranza che viene affidata al futuro del prossimo capitolo.

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