Antigone ha nel nome la parola ‘contrasto’. Nei fatti, la protagonista dell’omonima opera di Sofocle, in scena al Teatro dell’Orologio fino al 6 dicembre, si oppone alla logica delle leggi umane e tiranniche, alla razionalità cieca di un Creonte che vorrebbe imbrigliare la condotta di Tebe in logiche stringenti, asfissianti, per quanto ponderate, frutto della mente e non della pancia.
La ricerca di luce di Antigone, figlia della relazione incestuosa tra Edipo e sua madre Giocasta, scava in profondità il suo animo e quello di chi le è attorno, sviscera sentimenti celati dalla ragione, porta a galla il dubbio lì dove ci sono solo rigide certezze. Nel ventre di Antigone risiedono la deità e l’umana sorte, che sfidano l’ordine stabilito dallo zio con la tragicità di una giustizia dilaniante, viscerale, femminile. Creonte non accetta la ribellione della nipote non solo in quanto sfida la sua autorità e le sue regole, ma in quanto donna che interferisce con la politica, appannaggio maschile. La disubbidienza di Antigone agli occhi del re di Tebe ha i connotati della Ubris, la tracotanza, il peggiore dei peccati. Ma l’opera sofoclea pone in contrasto anche le generazioni.
Padre e figlio, Creonte ed Emone, si sfidano con la dialettica, con ragionamenti, ma il primo è accecato da una legalità sterile, arida come il suo rispetto per la divinità e l’umano destino, e preferisce privarsi della sua stessa carne piuttosto che cedere al senno giovanile. Nemmeno gli ammonimenti profetici dell’indovino Tiresia, non cieco come da tradizione ma paraplegico, può scalfire l’armatura di ottusità del re di Tebe. La tragedia, infine, si consuma tra sofferenze della mente e del cuore, tra pensiero e istinto, volontà e passione. Antigone, condannata al buio perenne di una grotta, preferisce cercare la luce nella morte e, trascinata in scena dal suo promesso sposo Emone, dormirà con lui un sonno eterno. A perire insieme ai due amanti è anche la ragione asettica e le regole senza radici di Creonte che, seduto nell’ombra, invoca per sé un destino uguale.
La drammaturgia di Filippo Gili, regista e protagonista, si compone di un’intimità che si propaga alla scena quasi vuota, sospesa tra buio e luce, rotta dalla veemenza degli attori, dall’impetuosità delle parole, dalla violenza del dramma senza tempo. La compagnia degli attori, poi, splende per sintonia e bravura. Antigone ha le palpebre pesanti e la voce roca di un’ottima Vanessa Scalera, Creonte ha la voce stentorea dello stesso Gili, i conciatori tebani, Alessandro Federico e Omar Sandrini, abbinano perfettamente la leggerezza dell’accento romagnolo alla profondità dei dialoghi. Accanto a loro sul palco del Teatro dell’Orologio Piergiorgio Bellocchio (Emone), Rosy Bonfiglio (Tiresia), Barbara Ronchi (Ismene), Matteo Quinzi (Guardia).