Baby (ANSEL ELGORT) and Bats (JAMIE FOXX) on the way to the post office job with Buddy (JON HAMM) and Darling (EIZA GONZALEZ) as cops pull up next to them in TriStar Pictures' BABY DRIVER.

Baby Driver – Il genio della fuga, di Edgar Wright

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Musica a tutto volume e piede sull’acceleratore. Il motore ruggisce, s’infiamma. Si parte. La strada è un tortuoso percorso a ostacoli in cui non esistono regole nè sensi di marcia. Non c’è nulla in grado di fermare la corsa di Baby, nè le auto che sfrecciano a tutta velocità nelle corsie vicine, nè i pedoni che schizzano a bordo strada come birilli impazziti, nè tantomeno la polizia che lo insegue a sirene spiegate. Correre è ciò che Baby (Ansel Elgort) sa fare meglio, forse il suo unico talento, e non è un caso che il machiavellico Doc (Kevin Spacey) lo abbia assoldato come autista di fiducia e portafortuna personale nelle rapine che organizza con le sue bande di criminali. Teste calde con il grilletto facile, fatti di una pasta completamente diversa da Baby, che ha un’indole onesta e si è trovato invischiato nel mondo criminale quasi per caso, per saldare un vecchio debito, ma che poi non è riuscito più a venirne fuori.

Gli inseguimenti da cardiopalma gli permettono di sbarcare il lunario senza troppo sforzo, facendo ciò che sa fare meglio, ma in cuor suo Baby spera che ogni volta sia l’ultima. Ma è solo quando la bella Deborah (Lily James) piomba nella sua vita come un angelo, che il suo desiderio di fuggire da tutto per cambiare definitivamente vita esplode e inizia lentamente a prendere forma. Solo lui, lei, la musica e una strada inesplorata davanti a loro, nient’altro. Questa è la ricetta della felicità per Baby e per la sua amata. Un sogno semplice, talmente semplice che per realizzarlo basta solo salire in macchina e partire, peccato però che prima di essere libero Baby abbia un ultimo colpo in programma.

Sogno contro realtà, buoni contro cattivi, ingenuità contro corruzione. Questa è la battaglia che si combatte ogni giormo sull’asfalto bollente e nella testa di Baby, che tenta di coprire i pensieri con la sua musica preferita e di rendere la vita più bella di quello che è fingendo di vivere in un grande musical. E Edgar Wrigh riesce ad assecondarlo al meglio delle sue possibilità, accompagnando ogni scena con la giusta colonna sonora. Che sia dolce, adrenalinica, malinconica o esplosiva, quello che importa è non fermare mai musica, tenerla sempre accesa sul ritmo dei personaggi e sul loro stato d’animo, unendo sapientemente Beach Boys, T-Rex, Simon & Garfunkel, Queen, The Damned, Focus e The Jon Spencer Blues Explosion e gli altri mostri del rock una track-list lunga quanto tutto il film.

Non sono ammesse pause, non è concesso fermarsi. Edgar Wrigh preme il piede sull’acceleratore dell’azione, con una frenesia che supera i film precedenti, ma allo stesso tempo disciplina la creatività in un contesto più realistico. Senza perdere la passione per la satira e il carattere decisamente pop che caratterizzava la sua nota Trilogia del cornetto (Hot Fuzz, L’alba dei morti dementi, La fine del mondo), Wrigh mostra il desiderio di sperimentare, riplasmando la materia che conosce meglio in una chiave più matura e di sicuro meno eccentrica. Ma ciò nonostante colpisce ancora una volta nel segno, con una scrittura brillante e un lavoro da manuale dietro la macchina da presa, che non perde neanche per un istante il ritmo della storia, e riesce a coniugare musica e immagini, come se il copione sia stato scritto sulla sua partitura musicale. Un’opera esplosiva portata in scena nell’unica maniera possibile, con la musica fissa nelle orecchie e il motore della storia che va a tutta velocità.

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