“I don’t really see, Why can’t we go on as three” fa una celebre canzone scritta da David Cosby all’inizio degli anni ’70, che celebra il ménage à trois contro le convenzioni sociali e i condizionamenti mentali. Solo amore, amore libero e gioia infinita. Come lui anche Thomas Vinterberg nel suo Kollektivet canta l’amore in una piccola comune, in cui emergono le luci, ma soprattutto le ombre, di questa orgiastica condivisione del cibo, dello spazio e del sesso.
La scena si apre in Danimarca negli anni ’70, in un momento in cui la filosofia hippie era in pieno fermento e la scelta di entrare a far parte di una comune per sfuggire alle convenzioni sociali era accarezzata da molti, tra cui i genitori dello stesso Vinterberg che per un decennio hanno vissuto questa esperienza. Ma questa non è una storia autobiografica, o almeno non all’apparenza, perché è la storia di Erik, un professore universitario di architettura, e di sua moglie Anna che, dopo aver ereditato una villa a Hellerup a nord di Copenaghen, decidono di dare una svolta alla loro monotona relazione coniugale includendo nella loro casa un piccolo gruppo di sconosciuti, di età ed estrazioni sociali differenti, per dividere le spese, dialogare e godersi la vita.
L’idea della comune è elettrizzante, eccitante, e all’inizio tutto sembra funzionare alla perfezione, in un incastro perfetto tra libertà sessuale e rispetto dell’intimità coniugale, ma quando Erik cede al fascino di una sua allieva e la porta a vivere sotto lo stesso tetto di sua moglie, rivendicando il suo diritto all’amore libero, il mondo idilliaco che si sono creati entra inevitabilmente in crisi. L’utopia hippie di un sano rapporto a tre si infrange clamorosamente contro l’esclusività del rapporto di coppia e a farne le spese sono tutti i membri della comune, che dalla vita peace and love che speravano si trovano ad assistere a una serie interminabile attacchi di isteria, tra pianti urla disumane.
La famiglia è in crisi, e ancora di più lo è la coppia, ma Vinterberg come pochi al mondo è in grado di tracciare un ritratto onesto dei rapporti umani all’interno del nucleo familiare, mettendo in luce la complessità del vivere in comune quando stati d’animo eterogenei si accavallano e si alternano nelle diverse fasi della vita. Nessuno è al sicuro, nessuno si salva qui, ma questa bizzarra “festa” della vita ha un fascino innegabile per il regista, che riesce a cogliere la bellezza nella condivisione delle emozioni ed amplifica i pensieri con la musica, vibrante, travolgente e sempre in armonia con lo spazio in cui si sprigiona. Kollektivet rispecchia a pieno il desiderio di Vinterberg di raccontare i turpi pensieri che serpeggiano sotto le acque apparentemente limpide dei rapporti familiari, che siano tradizionali o alternativi, e come nel bellissimo Festen riesce a rappresentare la vita nell’arte con i colori vividi che caratterizzano il suo cinema, realizzando un film prezioso.