Berlinale 67 – Logan – The Wolverine, di James Mangold

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Può sanguinare un supereroe? A quanto pare sì. E può sembrare un paradosso, visto che Wolverine che ha il potere di rigenerarsi all’infinito, e di sopravvivere a qualunque ferita, umana o aliena che sia, ma a volte ci sono ferite che non possono rimarginarsi e che continuano a sanguinare per tutta la vita, quelle dell’anima. In questo campo Wolverine è un maestro visto che, nonostante le innumerevoli battaglie vinte contro le forze del male, non è mai riuscito ad accettare fino in fondo la sua natura, quel lato animale della sua personalità che fatica a controllare, e tutte le vite spezzate dei suoi terribili artigli. E questa è una ferita che non si potrà mai rimarginare, e che giorno dopo giorno gli avvelena il sangue, gli corrode l’anima e lo spirito.

Il suo potere è la sua maledizione, e ora che il tempo delle battaglie epiche degli X-Men è un ricordo lontano, il fardello della sua natura mutante pesa più che mai sulle spalle del vecchio Wolverine. Per metà animale e per metà bestia, si sforza di confondersi tra gli esseri umani sbarcando il lunario come autista di limousine, mentre il Professor X, ormai ultranovantenne, si nasconde dal mondo accudito dal fedele Caliban. Loro sono tutto ciò che rimane degli X-Men, i relitti di un’epoca gloriosa, che ormai continua ad esistere solo nei fumetti, che romanzano le loro avventure glorificandoli come eroi, dimenticandosi di tutte le volte in cui gli umani li hanno esiliati dalla società e marchiati come mostri. E ora che un nuovo gruppo di mutanti è apparso all’orizzonte la storia sta per ripetersi.

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Un gruppo di ragazzini modificati geneticamente per essere delle armi letali sono scappati dal laboratorio in cui sono stati creati, e ora vagano per la terra alla ricerca dell’Eden di cui hanno letto nei loro fumetti preferiti, un luogo in cui i mutanti possono vivere in pace e al sicuro dal mondo. E c’è solo una persona al mondo in grado di accompagnarli nella loro avventura: Wolverine, il mutante più famoso del mondo. La piccola X-23, che con lui ha in comune artigli taglienti, piglio indomabile e coraggio da vendere, è a capo della spedizione ed è disposta a tutto pur di salvare i suoi amici.

Forse sta per iniziare una nuova era per gli X-Men, ma quel che è certo è che Logan di James Mangold chiude per sempre la storia degli degli X-Men che conoscevamo, e non solo perché Hugh Jackman ha dichiarato che questo sarà il suo ultimo Wolverine, ma perché per gli eroi è arrivato il momento di fare i conti con il passare del tempo e lasciarsi alle spalle battaglie che non sono più un grado di combattere per abbracciare una più pacifica umanità. E non potrebbe essere diversamente. Wolverine è visibilmente stanco, malato, depresso, e benché non abbia affatto perso il suo fascino, non ha più forze per affrontare eserciti di nemici come faceva un tempo, e probabilmente neanche la voglia. Quindi è solo per amor suo che bisogna lasciarlo andare.

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Ma questo ritorno all’umanità non è per nulla una sconfitta per il mondo dei supereroi, al contrario è proprio il valore aggiunto del film di James Mangold, estremamente diverso da tutti quelli visti fino ad ora, eppure il più affine alla natura di Wolverine, impastata nella polvere e nel sangue. Logan è un film ambientato nel futuro ma il setting non è affatto futuristico e non attira l’attenzione con effetti speciali strabilianti, per concentrarsi quasi esclusivamente sui personaggi, e sulle loro battaglie personali. I mutanti si muovono nel mondo travestiti da umani, e combattono nei boschi come animali. Questo è quello che vuole Mangold, tornare alle origini, all’essenza primordiale dell’eroe, per sciogliere i nodi della sua anima e potersi proiettare nel futuro con uno spirito completamente nuovo.

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