Berlinale 67 – The Dinner, di Oren Moverman

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Una cena indigesta, un appuntamento atteso da tempo. Due fratelli riuniti con le loro mogli attorno al tavolo di un ristorante in cui ogni portata è un’opera d’arte, unica e irripetibile. Ma la perfezione estetica del cibo è in netta contrapposizione con l’imperfezione morale delle persone che lo consumano, impeccabili all’esterno, corrotte all’interno. Questa è la sostanza di cui è fatto The Dinner di  Oren Moverman, dell’eterna guerra tra apparenza e realtà.

Paul Lohman (Steve Coogan) è un insegnante di storia sull’orlo di una crisi di nervi, mentre suo fratello Stan (Richard Gere) è un uomo politico all’apice della sua carriera, amato da tutti, eccetto che da suo fratello. La cena in questione dovrebbe essere un momento d’incontro, di riconciliazione, ma i dissapori che serpeggiano all’interno della famiglia non riescono ad essere coperti dai sapori sublimi che incontrano nelle diverse pietanze, rigorosamente scandite come le stagioni dell’anno. Ma quello che è peggio è che la calma apparente della cena, la rabbia controllata dei fratelli Lohman, non trova riscontro nello stato d’animo dei loro figli, che nel mentre sono impegnati a dare fuoco a un senzatetto. I Lohman si sforzano di mantenere il controllo anche di fronte a questa notizia scioccante, ma lentamente, in un crescendo di rabbia repressa e violenza, la cena si trasforma in un campo di battaglia in cui nessuno ne esce illeso.

Per il suo film Moverman si ispira all’omonimo romanzo di Herman Koch ed è talmente affezionato alla materia di partenza che nonostante gli sforzi non riesce a staccarsi da un impianto narrativo prettamente teatrale, in cui la verbosità sovrasta l’immagine e la offusca. Gestire un testo del genere sulla scena è un’impresa non da poco, perché riunire un intero film in un’unità di spazio e di tempo presuppone una straordinaria capacità di giocare con lo script in modo tale da mantenere l’attenzione dello spettatore sempre viva e incollata al testo, ma in questo Moverman fallisce, mettendo in scena un film talmente gonfio di parole da slabbrarsi irreparabilmente scena dopo scena.

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