Berlinale67 – Sage Femme, di Martin Provost

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Due donne diverse in tutto eccetto che nella loro solitudine si incontrano al tramonto della vita e da questo momento in poi ricominciano a vivere, insieme. Claire (Catherine Frot) è un’ostetrica e una madre single, che ha dedicato tutta la sua vita al lavoro, senza lasciare spazio per nessun altro, neanche per sé stessa. Béatrice (Catherine Deneuve)è il suo opposto, una femme fatale che nonostante il passare degli anni conserva ancora una sensualità prorompente, ed è ancora affamata dei piaceri della vita. L’unica cosa che le accomuna è l’amore per uomo che non c’è più: il padre di Claire, che un tempo aveva amato Béatrice.

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A distanza di quasi trent’anni la donna ripiomba come un fulmine sulla vita tranquilla di Claire e la sconvolge, riportando alla luce un dolore sopito da tempo e l’odio verso una donna che era scappata via spezzando il cuore a suo padre. Béatrice è tornata perché ha scoperto di essere molto malata, e prima di morire vuole, per quanto possibile, riparare ai suoi errori di gioventù, cercando il perdono di Claire. Ed è a questo punto che accade l’impensabile, l’odio si trasforma prima in compassione poi in complicità e quelli che sembravano due universi inconciliabili iniziano a fondersi l’uno nell’altro.

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Il mistero dell’universo femminile torna sotto l’obiettivo di Martin Provost, che in questo film riesce più che mai ad accarezzare tutte le sfumature emotive di un rapporto impossibile, eppure necessario per l’evoluzione delle due donne. Perché è proprio compensandosi che riescono a cambiare, rinunciando ad un pezzetto di solitudine e di indipendenza per la condivisione di un momento giocoso, di un bicchiere di vino, di un abbraccio affettuoso. Ed è proprio questo il picco più alto del film di Provost, quando si abbandonano l’una tra le braccia dell’altra per sentire ancora una volta la sensazione rassicurante di avere accanto qualcuno su cui poter contare. Prima e dopo la morte.

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