L'attore Francesco Pannofino posa per i fotografi durante il photocall del film "Il Pretore" di Giulio Base, Roma, 1 aprile 2014. ANSA/ANGELO CARCONI

Bluetooth, di Gianni Clementi

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Parlare, comunicare, connettersi sempre. La tecnologia unisce e separa contemporaneamente, tagliando i fili che intralciano le nostre conversazioni ma rimuovendo anche la possibilità di collegarci con chi ci è intorno. Parliamo da soli, gesticoliamo al vuoto, insultiamo fantasmi e non vediamo chi ci passa accanto, chi ci chiede informazioni, chi ci guarda basito. Ed è da questa smania di comunicare che nasce “Bluetooth”, lo spettacolo di Gianni Clementi per la regia di Claudio Boccaccini, interpretato da Francesco Pannofino sul palco del Teatro della Cometa. Una voce profonda e graffiata, quasi strozzata a tratti, che per un’ora riflette sull’impellenza, talvolta forzata e spesso inutile, di comunicare.

Incastrato nei panni di Sancho Panza, Pannofino attende che arrivi suo cognato, alto e secco, per il ruolo di Don Chisciotte. Da solo, come statua umana, è inutile, irriconoscibile. L’attesa è fatta di dialoghi al cellulare, di riflessioni ad alta voce, di ammiccamenti al pubblico, di stornelli romani. Dietro, sullo schermo alle sue spalle, scorrono immagini di ciò che è memoria, tra bellezza e consunzione, tra eroi e ombre. “Bluetooth” evoca il passato e scivola nel presente, mentre Pannofino canta di una pace che non arriva, di una stupenda Roma sfregiata dall’acido della noncuranza e dell’indifferenza, e ricorda con sentimento l’omicidio Moro. L’antieroe Sancho Panza è la mediocrità che attende il colpo di scena, la controparte che dia senso alla sua esistenza, ma è anche quell’aspetto di noi che tituba a ogni cambiamento, a ogni evoluzione non prevista, a ogni sforzo in più.

Il Bluetooth del titolo è l’apparecchio che Sancho Panza ha agganciato all’orecchio per tutto il tempo, un’appendice di plastica e silicone che fatichiamo a rimuovere, anche quando non ha più utilità. Ma Blue Tooth, spiega infine Pannofino, è soprattutto il soprannome di Aroldo I di Danimarca, abile diplomatico che unì i popoli scandinavi grazie al cristianesimo e che, per intimorire i nemici, dipingeva appunto i denti di blu. Un nome evocativo, dunque, per una tecnologia che mette in comunicazione dispositivi differenti. L’importante è ricordare che c’è un prezzo per essere sempre connessi.

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