Clown, di Jon Watts

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Il clown si muove goffamente sulla scena, barcolla sulle sue scarpe extra large e ondeggia nel suo costume coloratissimo per strappare sorrisi ai bambini che lo acclamano a gran voce, per immergersi in quell’atmosfera magica fatta di palloncini colorati, musica e giochi di ogni tipo. I bambini sono ipnotizzati dall’aspetto comico e rassicurante del clown, e non riescono a distogliere neanche per un istante lo sguardo dalla parrucca arcobaleno e dal naso rosso e buffo, che troneggia al centro del suo faccione bianco. Ma chi si nasconde dietro quello strato di cerone e quel sorriso disegnato ad arte? Nessuno sa chi sia. Ma quando si spengono le luci della ribalta il clown si toglie il trucco e sveste i panni comici per tornare alla sua comune umanità, e sotto il travestimento si intravede il volto di Kent, l’agente immobiliare che si è trasformato in clown per allietare la festa di compleanno del suo piccolo Jack, facendogli il regalo più bello che potesse desiderare.

Sotto gli occhi orgogliosi della moglie e del figlioletto, Kent inizia a togliersi il costume pezzo dopo pezzo per tornare a fare il papà, ma avverte una strana sensazione. Il vestito sembra incollato al corpo, fuso con la carne, e ad ogni tentativo di rimuoverlo lo sente ancora più stretto. Gli sembra di soffocare. Non si sono forbici che riescano a tagliarlo. Anche il naso rosso e la parrucca sono avvinghiati alla carne come il vestito e immuni a qualunque rimedio casalingo che cerchi di staccarli. Kent si accanisce su quell’abito maledetto al punto di scarnificarsi, ma è tutto inutile. Il costume da clown è diventato parte del suo corpo, la sua nuova pelle e la sua nuova personalità. Il costume ha inglobato il suo corpo e la sua anima, lo corrode dall’esterno e gli mangia l’anima come un demone vorace. La ricerca disperata di una soluzione conduce l’uomo alla scoperta di una verità atroce: quel costume apparentemente innocuo non è altro che la pelle di un demone divoratore di bambini, e ora questa creatura malvagia vive dentro di lui e ha fame di carne umana. Non si può tornare indietro, ed è impossibile dominare la fame.

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Il padre affettuoso lotta con tutte le sue forze contro il mostro che sta diventando, ma l’umanità lascia gradualmente spazio alla bestialità, e il desiderio di assaporare anche solo un boccone di carne umana vince sulla sua coscienza. In una lotta costante tra le pulsioni omicide e il desiderio di restare aggrappato all’ultimo brandello di umanità, Kent si trasforma gradualmente nel demone che gli ha prestato la pelle  sotto l’obiettivo attento di Jon Watts, che segue la trasformazione con un’attenzione morbosa, curando ogni più piccolo dettaglio della fusione del costume con il corpo, fino a che non diventa una maschera informe, in cui il trucco stantio si mescola al sangue delle sue vittime. Con l’unico intento di sviscerare il conflitto interiore del clown assassino, Watts si sofferma sul contrasto macroscopico tra la furia bestiale del mostro e gli slanci affettuosi dell’uomo intrappolato nel costume, indugiando coraggiosamente sui particolari più rivoltanti degli omicidi, in cui i corpi delle giovani vittime vengono dilaniati e digeriti con una violenza inaudita.

Ma è proprio la crescita graduale del mostro a veicolare l’orrore in Clown, che non si sofferma sulla tensione della caccia alle vittime e sugli omicidi seriali, come accade con i clown assetati di sangue dell’immaginario cinematografico comune, ma sull’oscurità intrinseca di un personaggio ambiguo, che vive eternamente con una maschera incollata sul viso, comica a tragica allo stesso tempo. Il nuovo clown non spaventa, ma turba la coscienza, toglie il sonno, e insinua il dubbio sull’orrore che serpeggia sotto le maschere umane apparentemente più innocue e rassicuranti. Il mostro è sempre in agguato, e cresce proprio sotto i nostri occhi.

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