“Le gonne devono coprire il ginocchio, i maglioncini sono preferiti alle camicette, e un semplice girocollo di perle è l’unico gioiello concesso”. Questo era tutto ciò che dovevano sapere le impiegate afro-americane della NASA, donne con un’intelligenza sopra la media, ma relegate al compito di computer umani in un ambiente in cui agli uomini andava il merito di ogni successo. Tutti conoscono le missioni Apollo. Molti sanno i nomi dei coraggiosi astronauti che hanno compiuto quei primi passi nello spazio: John Glenn, Alan Shepard e Neil Armstrong. Tuttavia i nomi di Katherine G. Johnson, Dorothy Vaughan e Mary Jackson non vengono insegnati a scuola né sono noti alla maggior parte delle persone, sebbene la loro energia e audacia, siano stati indispensabili alla NASA per realizzare i progressi che hanno reso possibile il volo dell’uomo nello spazio.
Per la prima volta Theodore Melfi con Il diritto di contare porta sul grande schermo la storia di queste tre donne straordinarie, che con il potere del sapere hanno contribuito alla vittoria americana nella corsa allo spazio contro i rivali dell’Unione Sovietica, e hanno dato una vigorosa svolta al riconoscimento della parità di diritti e opportunità, in un momento storico in cui le leggi di segregazione razziale erano in pieno vigore. Katherine G. Johnson, Dorothy Vaughan e Mary Jackson sono le eroine in gonnella che hanno portato l’America alle stelle, combattendo ognuna la propria battaglia, sul lavoro come nella vita privata, dimostrando che né la posizione sociale, né il genere, né tanto meno il colore della pelle incidono sulla riuscita di un calcolo matematico che può cambiare la storia del mondo.
Il diritto di contare racconta la loro storia in un film brillante, in grado di affrontare argomenti scottanti, come la segregazione razziale sul posto di lavoro, con una leggerezza imprevista ma quanto mai efficace. Katherine, Dorothy Vaughan e Mary combattono per i loro diritti costantemente, senza mai indietreggiare davanti alle difficoltà, ma quello che le contraddistingue è che non lo fanno mai con rabbia o arroganza, attaccando i bianchi con violenza, ma si affermano semplicemente dimostrando cosa sono capaci di fare, e per tanto reclamano il posto che meritano di occupare per diritto. Theodore Melfi parte da una piccola storia per raccontare un conflitto molto più grande, che coinvolge un’intera nazione e lo fa con la stessa eleganza delle sue protagoniste, a voce bassa ma con decisione, ed è questo che fa di questo film un’opera degna di attenzione.