Festival di Roma 2014 – Conversazione con Clive Owen su The Knick

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L’attore britannico Clive Owen ha presentato al Festival Internazionale del Film di Roma la serie tv di 10 epsodi, The Knick, diretta dal premio Oscar Steven Soderbergh, che sarà trasmessa a partire dall’11 novembre su Sky Atlantic.

Dopo una lunga carriera cinematografica, come è stato il passaggio alla televisione?

Le serie tv in alcuni casi sono più interessanti dei lungometraggi, specialmente se sono dirette da ottimi registi. C’è più tempo per esplorare i personaggi, si può essere più liberi di osare, e correre rischi, perché non c’è l’obbligo di restare compressi nelle due ore di film o nei vincoli della produzione.  Di solito evito di ripetermi e non mi piace vestire lo stesso ruolo per troppo tempo, per questo non ho mai recitato in una serie, ma quando ho letto questa sceneggiatura sono rimasto molto impressionato dalla scrittura perfetta.

Il chirurgo John Thackery, protagonista assoluto di The Knick, è un personaggio arrogante e brillante allo stesso tempo, ma di sicuro non risulta immediatamente simpatico. È stata una sfida renderlo gradevole?
Di sicuro il personaggio non è simpatico, ma non è mia abitudine scegliere un ruolo in base alla simpatia del personaggio. Per prima cosa bisogna conoscerlo, studiarne la psicologia e comprendere cosa muove le sue azioni. Questo medico è un personaggio estremamente interessante e affascinante, perché è razzista, fa uso di droghe, ma allo stesso tempo non si ferma davanti a nulla ed è un genio nel suo campo, un pioniere. In ogni scena dovevo stare in equilibrio su un filo sottile, ma la sfida era proprio capire fino a che punto si poteva arrivare.

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I medical drama vedono spesso come protagonisti medici scontrosi, arroganti e tossici, ma anche geniali. Perché?

Le serie tv ambientate negli ospedali hanno successo perché qui la posta in gioco è alta, si tratta di vita o di morte. La tensione è sempre alta e lo spettatore si identifica facilmente con le situazioni trattate. Thackery è un personaggio molto ambiguo, un pioniere nel suo settore, ma anche una persona imperfetta che gestisce la pressione quotidiana a cui è sottoposto facendo uso costante di cocaina, che però al tempo era comunemente usata in medicina ed era frequente che i medici che ne facevano uso ne diventassero dipendenti. A mio parere è proprio questa ambiguità a rendere questo personaggio interessante, se fosse stato perfetto non lo sarebbe stato altrettanto.

La scena è molto curata e ed estremamente realistica, anche nei dettagli più cruenti. Questo ha facilitato l’immedesimazione nella New York dei primi del Novecento?

Soderbergh è stato incredibile nella cura dei dettagli, abbiamo lavorato ad un ritmo frenetico e la squadra di scenografi ha fatto un lavoro incredibile. I set erano realistici e ricchi. Quando si entrava in una stanza sembrava reale, c’era tutto, e se si apriva un cassetto spuntavano gli strumenti chirurgici dell’epoca. Inoltre, pur non essendoci il tempo per un’adeguata preparazione medica un team di esperti ci ha costantemente sottoposto le fotografie delle operazioni dell’epoca e i libretti. Dopotutto eravamo nella New York dei primi anni del Novecento ed era necessario essere il più possibile fedeli alla realtà per essere credibili.

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