Alice è una donna straordinaria, a detta di suo marito, la donna più bella e intelligente che abbia mai conosciuto. Ora che ha appena compiuto cinquant’anni, occupa una cattedra di linguistica alla Columbia University e la maggiore dei suoi tre splendidi figli sta per farla diventare nonna. Adesso sta iniziando quella stagione della vita in cui i figli hanno trovato la propria strada e le responsabilità sono scemate, per cui può finalmente raccoglie con soddisfazione i frutti dei suoi sacrifici e godere a pieno la vita che ha costruito con fatica. Ma all’improvviso nota che la sua memoria si sta indebolendo. All’inizio, fa fatica a ricordare gli appuntamenti e le lezioni, poi cancella inconsapevolmente brevi istanti della giornata, fino a perdere completamente coscienza del suo lavoro, della sua famiglia e dei luoghi in cui si trova. In pochi mesi l’Alzheimer cancella tutta la sua esistenza, concedendole solo pochi brevi istanti di respiro per riconoscere l’amore negli occhi dei suoi cari.
Come si può descrivere la sensazione di perdere all’improvviso il contatto con il mondo, di vederne i contorni sbiaditi e fumosi, alla stregua di un caos informe di macchie colorate senza nome e provenienza, che girano vorticosamente annullando l’orientamento e confondendo il tempo e lo spazio? Questi sono i sintomi dell’Alzheimer, una malattia degenerativa silenziosa, che distrugge il cervello senza far rumore, cancellando una piccola porzione di informazioni alla volta, fino all’oblio. Alice è una delle tante vittime di questa malattia senza ritorno, estranea nel mondo in cui ha sempre vissuto, incapace di riconoscere le strade che ha percorso ogni giorno, gli sguardi incrociati distrattamente e i volti che che hanno dato un senso a tutta la sua vita. Ogni giorno perde un pezzo di se stessa e della realtà che la circonda. I ricordi, i nomi dei suoi figli, tutto si fa buio. Se l’Alzheimer può essere paragonato alla morte dell’anima, per chi lo vive con la consapevolezza di una mente brillante come la sua è l’inferno.
Raccontare una malattia è uno dei compiti più ardui, perché il rischio di lasciarsi andare a slanci patetici e di esplorare solo alcuni aspetti della questione è molto alto, ma Westmoreland e Glatzer non cadono nella trappola della spettacolarizzazione del dolore e si limitano a stare in disparte, ad osservare la vita di Alice da lontano, accompagnandola nel suo percorso prima che il processo sia concluso. Al centro della scena ci sono le piccole perdite quotidiane, quelle sviste che sembrano quasi insignificanti ma che indicano un’avanzamento inarrestabile dell’Alzheimer. Alice fa tutto ciò che è in suo potere per restare il più possibile aggrappata alla sua vita e alla sua preziosa memoria, cercando di costruire nuovi ricordi ogni giorno, visto che i vecchi sono destinati a disciogliersi nel tempo e, al di là dell’aiuto che le può dare la tecnologia, l’unica speranza è portare con sé le sensazioni, i suoni e gli odori di una giornata al mare come tante, che per lei sarà eternamente presente.