Fiuggi Film Festival – Nobody From Nowhere, di Matthieu Delaporte

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Uno, nessuno e centomila. Sébastien Nicolas è un illustre sconosciuto, un agente immobiliare di media statura, con i capelli castani e gli occhiali. Uno qualunque, che passa inosservato dietro il suo impermeabile grigio, e che farebbe qualunque cosa pur di distinguersi. Ma la sua invisibilità è proprio ciò che lo rende diverso dagli altri, e ciò che gli dà l’idea per cambiare la propria vita per sempre. Sébastien infatti non si limita ad osservare gli sconosciuti, ma li scruta, studia il timbro della loro voce, ne imita gli atteggiamenti e nell’oscurità della sua casa riproduce i loro volti su una serie infinita di maschere di lattice. Ogni giorno cambia volto, abiti, e almeno per poche ore si illude di vivere una vita che non gli appartiene, poi scompare e torna al suo anonimo impermeabile grigio.

L’ultima vittima della sua ossessione è un cliente dell’agenzia immobiliare, il violinista misantropo Henri de Montalte, che si è ritirato a vita privata dopo un incidente che gli ha danneggiato le mani. Sébastien costruisce la sua maschera come da copione e, poco a poco, si intrufola nella vita del violinista al punto da fondersi con lui. I due personaggi sono indistinguibili l’uno dall’altro, due età della stessa vita e, per accentuare l’effetto di straniamento, per interpretare entrambi i ruoli è stato scelto lo stesso stesso attore: il regista Mathieu Kassovitz. Ma proprio nell’istante in cui i due personaggi sono più vicini, Sébastien non si lascia sfuggire l’occasione di prendere per sempre il posto del violinista e, mettendo in scena un macabro suicidio, apre il sipario sulla sua ultima commedia.

Nobody From Nowhere è un gioco interminabile di maschere, in cui diverse personalità si sovrappongono sulla stessa coscienza, penetrano nelle pieghe del volto, e lo divorano per dargli l’espressività che gli manca. Matthieu Delaporte guarda il mondo attraverso gli occhi di Sébastien, dal suo punto di vista ossessivo, e racconta la sua storia indugiando sui toni cupi del thriller, che accentuano l’orrore di un’esistenza segnata dal vuoto esistenziale. Questo è ciò che spaventa di più: l’assenza di identità in un essere umano e la necessità di cucire su di sé quella di uno sconosciuto, di respirare l’ossigeno di un’altra persona per poter sopravvivere, e Delaporte attraverso la sua narrazione ha il potere di trasmettere il medesimo male di vivere del protagonista, e il male incurabile di una società malata, troppo concentrata su se stessa per accorgersi della sofferenza di chi le cammina accanto.

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