Heart of the Sea – Le origini di Moby Dick, di Ron Howard

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Herman Mellville (Ben Whishaw) è un giovane e brillante scrittore alla ricerca della storia che lo faccia entrare nell’Olimpo degli autori. Che sia quella della Essex, una baleniera naufragata nel 1820 per colpa di una balena bianca, e dei pochi membri dell’equipaggio miracolosamente salvi? Per scoprirlo Herman va alla fonte per sentire la storia dall’unico sopravvissuto rimasto in vita, Tom Nickerson (Brendan Gleeson). In una notte affabulatoria il racconto prende il la, immergendo il giovane scrittore nell’atmosfera salmastra e marinaresca tanto cara ai suoi racconti. Tutto inizia dalla vicenda di Owen Chase (Chris Hemsworth), un veterano avvezzo a combattere contro i mostri marini che aspetta la nomina a capitano di una nave con cui finalmente guidare una nuova impresa nei mari. George Pollard (Benjamin Walker), dal nome illustre e famoso, si interpone su questo cammino: il suo lingnaggio gli permette ottenere (pur senza meriti) il comando della Essex in partenza da Nantucket, relegando Chase al ruolo di primo ufficiale. I due partono, accompagnati da un equipaggio tanto ambizioso quanto mal assortito, ma che in questa diversità dovrà trovare la forza di affrontare l’inimmaginabile: lottare contro una balena bianca.

La storia apre numerose porte su riflessioni profonde, che lo spettatore tuttavia non riesce completamente a chiudere perché coinvolto in una corsa emotiva forsennata nella spettacolare epica del racconto.

Primariamente l’uomo combatte contro gli altri esseri umani, in un lotta all’ultimo sangue per la supremazia e l’affermazione sociale, vile contro i propri simili pur di riempire le proprie sacche di danaro e il proprio ego di gratificazione. Chase e Pollard combattono una guerra continua l’uno contro l’altro per il primato sull’immensa imbarcazione e, al tempo stesso, non esitano a sfidare i limiti della ragionevolezza e della prudenza pur di non ammettere il fallimento, mettendo a repentaglio non solo la propria vita ma anche quella degli altri. Insieme decideranno di sfidare l’Oceano Pacifico, lì a mille miglia lontano dalla terraferma, dove le balene si sono rifugiate per sfuggire alla caccia dell’uomo.

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L’uomo deve poi misurarsi con la propria mente e il proprio io, l’avversario più pericoloso; ambizioni ed egoismi spingono a dimenticare che ciò che si ricerca con tanto ardore si trova sul palmo della mano; viaggiare lontano e rischiare il tutto e per tutto non ha senso.

Infine l’uomo viene presentato in relazione con la natura; apparentemente egli lotta contro la furia delle tempeste e l’istinto dei più grandi mammiferi marini, assurgendosi ad essere superiore in grado di domarli; ben presto l’equipaggio si renderà conto, proprio nelle situazioni più estreme, di essere invece parte della natura e non suo antagonista. All’epoca la balena veniva vista come una semplice merce da prendere e da usare e la corsa al suo olio è paragonabile all’odierna corsa all’oro nero; l’animale forniva tutto il necessario alla società del XIX secolo (dall’olio per riscaldarsi e illuminare, ai mobili e ai corsetti) e ciò che in Heart of the Sea può sembrare una glorificazione della caccia alla balene è in realtà un’epopea che racconta la brutalità di questa pratica e la condizione degli uomini a bordo delle baleniere, mercenari al servizio di armatori e compagnie commerciali senza scrupoli.

Ron Howard (A Beautiful Mind, Il codice da Vinci, Il Grinch; Rush) continua il sodalizio vincente con Chris Hemsworth; la regia si snoda tra la spettacolarità, in linea con l’epica che Moby Dick ha rappresentato per la cultura letteraria americana, e le soggettive delle balene, estremamente evocative; in aggiunta, un rigore storico estremamente curato e fedele, a tratti, forse, anche troppo accentuato verso toni melodrammatici. Bella la sceneggiatura, sempre coinvolgente, basata sul libro dello storico Nathaniel Philbrick (Nel cuore dell’oceano – Il Naufragio della baleniera Essex): alcune scene hanno già il sapore dell’indelebile. In tale profluvio di effetti speciali e mirabolanti riprese trovo ingiustificata la scelta del 3D: un classico 2D non avrebbe tolto nulla alla pellicola.

Un film ben fatto, infine, che spinge a pensare che la realtà supera, in grandiosità e imprevedibilità, anche i migliori romanzi, incluso uno tra i cento libri che rendono migliore la nostra vita come Moby Dick.

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