Heidi, di Alain Gsponer

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Il 24 Marzo torna sul grande schermo dopo 64 anni dall’ultima trasposizione cinematografica Heidi, personaggio icona della letteratura di lingua tedesca, nato dalla penna di Jhoanna Spiry. Da decenni, oramai, la dolce ragazzina delle montagne svizzere è uscita dagli argini letterari per entrare definitivamente nei cuori di tutti e la sua notorietà internazionale va ascritta alla serie anime del 1977 Alps no Shojo Heidi (Heidi, la ragazza delle Alpi) con la regia di Isao Takahata e i layout di Hayao Miyazaki. Ma se la famigliarità con il cartone ci farebbe approcciare alla storia di Heidi come un “racconto per bambini”, Alain Gsponer, regista di questo film, ha fatto di tutto per superare una trasposizione volta unicamente ai più piccoli, per ridare piena dignità ai romanzi d’origine dai quali la stessa vicenda è tratta. Nella piena volontà di creare un classico del XXI secolo, emerge infatti dalla visione della pellicola un forte realismo, opposto al mondo ideale di Heidi a cui noi siamo abituati, dovuto sia ai paesaggi d’ambientazione di tipica matrice svizzera sia al dramma sociale del racconto di Jhoanna Spiry.

Heidi, bambina rimasta orfana in giovane età, viene accolta dal burbero e isolato nonno Almohi, che inizialmente era restio all’idea di doverla tenere con sé, ma che poi si lascia intenerire dalla dolcezza della nipote e le fa trascorrere i giorni migliore della sua infanzia nella sua baita tra le montagne svizzere, dove lei passa le giornate ad accudire le capre e a giocare con il suo amico Peter. Sembra durare per sempre questa felicità, ma sua zia Dete decide di portarla con sé a Francoforte e di mandarla a vivere nella casa del ricco signor Sesemann, per farla diventare l’amica di giochi della figlia di Sesemann, Klara, costretta da un incidente sulla sedia a rotelle, e per consentirle di avere una buona istruzione sotto la supervisione della severa governante, la signorina Rottenmeier. La semplicità e la gioia di Heidi però la fanno entrare nel cuore della sua nuova amica e di tutte le persone nella casa, compresa la nonna di Klara, che le insegna ad amare profondamente i libri. Ciò nonostante il richiamo della natura e della sua vecchia vita con il nonno risvegliano in lei la sua naturale propensione alla vita rupestre, e grazie all’aiuto di ha conosciuto la sua tenerezza finirà per trovare la propria casa.

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La sceneggiatrice Petra Volpe ha deciso di adottare unicamente il punto di vista della protagonista, perché è solo attraverso gli occhi della bambina che è possibile trovare più aspetti in ognuno dei personaggi, senza doverli dividere tra buoni e cattivi, e per cogliere la tridimensionalità che è propria di ciascun essere umano. È nell’esaltazione della persona in tutta la sua essenza che lo spettatore ritrov i caratteri universali leganti di tutta l’umanità, l’amore, la famiglia, l’amicizia, la gioia di vivere, che curano gli orrori della società moderna. Heidi è un’eroina in tutti i sensi, ma come tale, per salvarci, è costretta a entrare nella nostra realtà e a perdere un po’ la cristallizzazione tipica del personaggio ideato dalla Spiry, che la relegava a eterna bambina. Ed è la stessa Petra Volpe a darne una rappresentazione più antropologica che iconica, e a delineare per lei un piccolo accenno di futuro, un’ azione che, senza stravolgere la storia iniziale, rappresenta quasi un omaggio a quella bambina che da sempre riempie le nostre giornate di gioia.

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