Insidious: l’ultima chiave, di Adam Robitel

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L’effetto sorpresa è una delle componenti più importanti di un film horror, e non solo nella sua connotazione più immediata del jumpscare, ma in quella più estesa che riguarda l’intreccio, in cui un evento inaspettato arriva a capovolgere la situazione o l’immagine di un personaggio generando la paura. Ecco, in Insidious: l’ultima chiave l’effetto sorpresa manca completamente. Sarà perchè la saga che vede come protagonista la sensitiva Elise Rainier è ormai giunta al suo quarto capitolo, o perchè ha giocato le sue cartucce migliori nei due primi episodi diretti da James Wan, per poi limitarsi ad oscillare avanti e indietro nel tempo per cercare nuovi spunti narrativi, ma sembra che Insidious stavolta sia giunto davvero alla fine.

In questo capitolo il regista Adam Robitel fa un salto indietro nel tempo rispetto ai primi due episodi della saga, così come ha fatto il suo predecessore Leigh Whannell per Insidious 3 – L’inizio, ma stavolta il tempo si arrotola su se stesso fino agli anni Cinquanta, quando Elise Rainier era ancora una bambina e i suoi poteri si stavano appena risvegliando. Elise a quel tempo viveva nel New Mexico con i suoi genitori e il suo fratellino e lottava quotidianamente con i fantasmi che abitavano la sua casa. Lei era l’unica della famiglia a percepire la presenza di queste anime in pena, spesso morte tra atroci sofferenze e in cerca di aiuto, ma quello che per sua madre era un dono prezioso veniva percepito da suo padre come una sciagura e l’uomo non perdeva occasione di punire la figlia nella maniera più atroce possibile.

Da questo punto in poi l’asse temporale si sposta nel presente, ma in un momento precedente ai fatti dei primi due film della saga, quando Elise viene chiamata per estinguere le presenze che infestano la sua vecchia casa nel New Mexico. Il viaggio diventa l’occasione per scoprire l’origine del male che si nasconde tra le mura della sua infanzia e quanto il suo potere sia importante per aiutare sia i vivi che i morti. Nulla però sarebbe possibile senza l’aiuto della sua famiglia, o meglio di ciò che ne resta, e dei suoi fedeli aiutanti di Elise, Specs e Tucker, che non perdono occasione di alleviare la tensione con le loro gag esilaranti, mentre accompagnano la sensitiva nel suo viaggio verso l’Altrove.

L’Altrove, questa dimensione oscura in cui i demoni più malvagi trovano asilo e a cui solo pochi eletti possono accedere per estirpare il male alla radice, era l’effetto sorpresa del primo capitolo di Insidious, l’elemento inaspettato che trasformava la storia di una casa infestata simile a mille altre in qualcosa di completamente nuovo. Ora però la presenza dell’Altrove è qualcosa a cui lo spettatore si è abituato, e che per questo ha smesso di far paura. E sebbene sia un elemento irrinunciabile ormai, perchè rappresenta il tratto distintivo della saga se, come in questo caso, non viene supportato da svolte narrative all’altezza perde completamente il suo potere. In questo senso Insidious: l’ultima chiave, più che aprire nuove porte nella dimensione oscura che avvolge la saga, finisce per chiudere quelle già aperte riavvolgendo la storia invece che portarla avanti, in modo tale da far coincidere la fine con l’inizio. E sebbene questo nuovo capitolo sia fondamentale per comprendere l’origine del male che ha dato avvio ai tragici eventi che hanno costellato tutta la saga, è evidente che gli spunti creativi dei suoi autori si siano gradualmente esauriti e che sia giunto davvero il momento di mettere un punto a Insidious.

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