Il fascino di Re Artù e dei cavalieri della Tavola Rotonda ha cavalcato i secoli, arrivando in ottima forma fino ai nostri giorni. Dalla bella favola raccontata dalla Disney nel lontano 1963 – in cui il piccolo Artù, noto col nome di Semola, diventò l’eroe de “La spada nella roccia” – al più recente (e filologico) “King Arthur” di Antoine Fuqua (2004) con Clive Owen e Keira Knightley, il mito bretone è stato oggetto di diverse interpretazioni, più o meno fortunate. Si accoda all’antologia arturiana il noto regista action – e ex signor Madonna – Guy Ritchie con il suo “King Arthur il potere della spada”, distribuito dal 10 maggio nelle sale italiane.
Come chiarisce il titolo, la storia ruota attorno all’importanza della spada Excalibur, simbolo del “lato buono della forza”, polo energetico positivo in grado di ristabilire gli equilibri sconvolti dall’avidità e l’ambizione dell’antagonista. Spada a parte, “King Arthur” si concentra sulla figura di Artù e, in particolare, sul percorso che il personaggio fa per acquisire la consapevolezza del suo ruolo. Un’altra origin story, piuttosto differente dal suo precedente Disney, che si apre con una suggestiva e lunga sequenza di battaglia, in cui orde di maghi e di umani si scontrano in una lotta spaventosa. Gli elefanti, forse l’elemento più inquietante della scena, presentano allo spettatore una caratteristica ricorrente del film: l’uso massiccio della computer grafica. Ritchie sfrutta l’animazione per proiettare sullo schermo visioni fantastiche e una buona dose di azione da videogame, compiendo scelte accattivanti ma che – alla lunga – possono appesantire la visione.
Come ci si aspetterebbe da un film di Ritchie, ci sono diverse scene davvero divertenti che stemperano il generale tono epico, coerente con la storia originale. Senza troppo badare a una ricostruzione storica fedele, il regista racconta di un Artù sospeso nel tempo, in atteggiamento e abbigliamento postmoderni, dal vago sentore steampunk. I meriti della pellicola, se considerata, ovviamente, come prodotto di largo consumo pensato per il divertimento del grande pubblico, sono diversi. Iniziamo dal cast: una serie di scelte piuttosto azzeccate.
Il protagonista, Charlie Hunnam (lo stesso della serie-cult “Sons of Anarchy”) porta un po’ di ignoranza biker nel personaggio del re, cresciuto in un bordello e diventato, nel tempo, pappone dal grande cuore e dai grandi muscoli. Hunnam fuziona perfettamente nello stile accelerato di Ritchie, alternando momenti in cui esibisce una certa prestanza fisica ad altri in cui mostra tutta la sua ironia da badass. A ricoprire il ruolo del villain Vortigem, un Jude Law nel suo primo ruolo importante dopo il Papa Pio XIII di Paolo Sorrentino, da cui riprende alcune sfumature di malvagità glaciale e impenetrabili.
Il cast è completato da personaggi secondari ben caratterizzati, affidati ad attori di grande esperienza. Abbiamo Eric Bana, nel ruolo del padre di Artù, Uther, Aidan Gillen (Bill) l’ormai riconoscibile Ditocorto de “Il trono di Spade” e Djimon Hounsou (Bedivere) visto nel primo capitolo de “I guardiani della galassia” e in tanti film d’azione. A interpretare la sola componente femminile rilevante del racconto, Astrid Bergès-Frisbey, nata a Barcellona da padre spagnolo e da madre americana, di origini britanniche e francesi: dal volto particolarissimo e dalla grande sensualità, l’attrice interpreta un personaggio evanescente e affascinante, in grado di convogliare le forze della natura secondo la propria volontà.
“King Arthur il potere della spada” cavalca il genere action senza indugiare troppo nei cliché, evitando – per fortuna – la storia d’amore tra l’eroe e la fanciulla di turno: il legame che si crea con la maga, per quanto Artù possa fare il piacione, è puramente formativo e l’interesse della dama si risolve unicamente nel ristabilire la pace nel regno di Camelot.
Il grande pubblico si affezionerà presto alla storia, grazie a un protagonista facile da amare e un cattivo facilissimo da detestare. Piaceranno i personaggi, coinvolgerà l’azione, stupiranno gli effetti speciali e convinceranno gli elementi fantasy. Meno soddisfazione riscontrerà chi cerca un film di trama, che si accorgerà di aver decisamente frainteso il prodotto.