C’era una volta un film d’animazione incantevole, che parlava d’amore scandendo il tempo a ritmo dei petali di rosa che cadevano al suolo. Una fiaba intensa, vibrante di musica e talmente raffinata da essere il primo lungometraggio Disney a toccare le vette degli Oscar. Sono passati venticinque anni ormai e i petali della rosa fatata de La Bella e la Bestia sono caduti tutti, uno ad uno, per lasciare spazio a narrazioni più moderne e senza dubbio più dinamiche, ma l’incanto di quella pellicola è rimasto intatto nel ricordo di chi l’ha amata. Ed è per questo che un ritorno de La Bella e la Bestia sul grande schermo è accompagnato da un’emozione che è difficile da contenere, che riporta magicamente indietro a un tempo che non c’è più, e che allo stesso tempo carica di aspettative la pellicola di Bill Condon.
Ma ecco che l’attesa è finita, lo schermo buio si illumina e immediatamente si intravedono i contorni di un castello familiare, nascosto nel folto del bosco, dove vive un giovane principe (Dan Stevens), che vive nel lusso più sfrenato e viene viziato dai membri della servitù, pronti a esaudire ogni suo capriccio. Con il passare del tempo però il Principe era diventato sempre più egoista e arrogante, e quando una notte una vecchia mendicante bussa alla sua porta per chiedere riparo dalla tempesta, offrendogli in cambio soltanto una rosa, lui la manda via senza pietà. Ma le apparenze molto spesso non sono lo specchio dell’anima e infatti la mendicante, provata la sua crudeltà, si trasforma in una bellissima maga (Hattie Morahan) che lo punisce gettando una maledizione sul castello. Il principe viene trasformato in un’orrenda bestia, vera immagine della sua anima, e tutti i membri della servitù in oggetti e mobili animati. L’unico modo per spezzare l’incantesimo è che il principe impari ad amare e sia amato a sua volta prima che cada l’ultimo petalo della rosa, altrimenti sarebbe rimasto una Bestia per sempre e i membri della servitù non sarebbero mai più tornati umani, restando imprigionati nel castello per l’eternità. Ma chi può amare una bestia?
Il tempo passa e la rosa continua ad appassire. La Bestia e i suoi servitori hanno quasi perso del tutto la speranza fino a che non accade qualcosa di inaspettato. Una ragazza entra nel castello. La fanciulla che si addentra tra quelle stanze oscure è Belle (Emma Watson), la figlia di Maurice (Kevin Kline), l’inventore che la sera prima aveva trovato riparo nel castello per sfuggire ai lupi e, senza aver fatto del male a nessuno, era stato fatto prigioniero dalla Bestia. Belle è una ragazza atipica, diversa da tutte quelle che affollano le strade di Villeneuve sospirando dietro ai pettorali dell’arrogante e rozzo Gaston (Luke Evans). Lei vuole di più. Il villaggio le sta stretto e così la corte spietata di Gaston, che non somiglia neanche lontanamente al principe azzurro della sua fantasia.
Incredibilmente moderna per il suo tempo, Belle non si rassegna un destino già scritto al fianco dello scapolo più ambito del paese con prole a seguito, ma cerca instancabile l’avventura verso i luoghi esotici di cui ha letto nei suoi romanzi preferiti, sognando di vivere una vita straordinaria. Per questo parte alla ricerca di suo padre con coraggio, attraversa il bosco di notte, affronta i lupi, ed entra senza timore nel castello della Bestia, ignara del fatto che quella sarà l’avventura più spaventosa e affascinante della sua vita.
La Bestia è scontrosa, sgarbata, e fa di di tutto per farsi odiare da Belle, ma lei tiene testa alle sue sfuriate e non si piega a nessuno dei suoi ordini, fino a che con il passare del tempo lo scontro tra le loro personalità non diventa un’incontro di anime. Belle inizia a percepire che dietro quelle sembianze mostruose c’è un uomo cortese, che condivide con lei l’amore per i libri, ed è pronto anche a rischiare la vita pur di salvarla dai pericoli. L’amicizia che li unisce con il passare cambia forma, si trasforma in un sentimento sconosciuto, che fa paura ma scalda il cuore.
La vera bellezza non è quella esteriore, ma quella che abbiamo dentro. Questa è l’essenza de La Bella e la Bestia, il mantra che si ripete ogni qualvolta questa storia viene alla luce. Dalla penna della scrittrice Gabrielle-Suzanne Barbot de Villeneuve, che ha pubblicato la prima versione di questo racconto, intitolato “La Belle et la Bête”, nel XVIII secolo, a tutti gli adattamenti per il grande schermo e per il teatro che sono seguiti, fino ad arrivare al capolavoro Disney del 1991, che ha messo in scena la storia in una forma così perfetta che ricalcarla era una follia. Eppure Bill Condon ha abbracciato l’impresa tentando l’impossibile: trasformare il film d’animazione in un live action. Sì perché il suo La Bella e la Bestia non è un film che vive di vita propria, con una personalità ben definita, ma una copia carbone del film Disney del 1991, ricalcato pedissequamente nelle forme, nei colori, e persino nella musica, come se l’obiettivo di Condon non fosse dar vita a qualcosa di nuovo, ma resuscitare a forza il vecchio.
Il rischio di creare qualcosa di diverso e di fallire evidentemente per Condon era troppo alto, vista l’esperienza del recente La Belle et la Bête di Christophe Gans che, pur essendo criticabile per molti aspetti, per lo meno dava alla storia una patina di autorialità. Certo, percorrere sentieri inesplorati può portare spiacevoli sorprese, ma anche capolavori inaspettati, ed è un vero peccato che Condon abbia preferito la via più rassicurante della versione live action di un film che ha fatto la storia del cinema d’animazione. Ma non è detto che ricalcare percorsi già battuti sia una certezza di successo, infatti sebbene le scenografie, i costumi e l’atmosfera della pellicola originale siano stati ricostruiti alla perfezione nel nuovo adattamento, non sono riusciti a portare con se l’emozione che la caratterizzava in ogni istante. E pur avendo più di vent’anni di vantaggio nell’arte della computer grafica, Condon offusca l’espressività dei personaggi con l’eccentricità delle scene, ottenendo solo una copia sbiadita di ciò che poteva essere, che si culla unicamente sull’emozione di chi in quelle immagini scorge il suo passato di bambino.