Lo stagista inaspettato, di Nancy Meyers

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Una società di e-commerce, specializzata nel campo della moda, assume come stagista Ben Whittaker (De Niro), un settantenne annoiato dalla sua vita di vedovo e pensionato. La fondatrice della compagnia, Jules Ostin (Hathaway), lo accoglie con perplessità così Ben dovrà dimostrare il suo valore.

Ben è il supernonnetto di tutti che, vestito come un Clark Kent in incognito, in quell’ambiente tutto casual, ottiene un risultato simile a quello di un Superman nel suo costume più sgargiante. Anche lo stupendo De Niro che lo interpreta conquista subito gli spettatori e, con il suo fascino da gentleman, la sua esperta presenza di scena, la sua coinvolgente simpatia, la sua fondamentale esperienza e i suoi tempi comici salva, in parte, anche il film. La stessa Meyers ammette che sia stato un colpo di fortuna non da poco avere nel cast un attore di questo calibro. Inizialmente, infatti, i due attori scelti per i ruoli dei protagonisti erano Michael Caine, anche se la parte era stata concepita per Jack Nicholson, e Tina Fey, che viene prima sostituita da Reese Witherspoon e poi definitivamente da Anne Hathaway, che si ritrova, così, ad interpretare un personaggio che crea una sorta di parallelismo rovesciato, un chiasmo precisamente, con Il Diavolo veste Prada. Un ribaltamento di ruoli e valori che sono anche il filo conduttore de Lo stagista inaspettato con vice-madri, o padri-casalinghi come dir si voglia, stagisti senior, madri per nulla empatiche e figlie nate già adulte.

Le premesse ci sono tutte ma forse rimangono più delle promesse, in parte non mantenute.
Per la regista è una sorta di ritorno alle origini, verso una commedia per famiglie, quando invece era giusto aspettarsi una prova di maturità da parte sua.
Se lo stesso film è creato per dimostrare che si può essere attempati, molto esperti, vintage e farne una virtù di cui i giovani devono far tesoro, una navigata Meyers avrebbe dovuto mostrare sullo schermo qualcosa di più della solita classica commedia americana che punta solo sullo spettatore che considera il cinema un passatempo e non su quello che lo considera una forma d’arte fra le più efficaci, specialmente oggi.
Nancy Meyers è stata capace di ben altro. Sembrava essersi specializzata nella commedia romantica dopo What Women Want, Tutto può succedere, L’amore non va in vacanza, È complicato, tutte amorevoli commedie sentimentali di grande successo. Regista, sceneggiatrice, produttrice. Il curriculum è quello del filmmaker ma il risultato non ha niente di autoriale, nessuna cifra stilistica, non un accento personale. C’è qualcosa che non va se puoi usufruire di una Arri Alexa XT e ne ottieni delle panoramiche senza definizione, se distribuisci errori di continuità, evidenti già ad una prima visione, se la tua struttura ad anello tradisce una superficialità diffusa. E poi: perché avere nell’artiglieria quelle che vengono considerate delle bombe di comicità provenienti da Comedy Central e lasciarle inesplose?
Al contempo è da evidenziare, però, un’estrema cura del dettaglio per quanto riguarda le scenografie [di Kristi Zea, candidata all’Oscar per Revolutionary Road] e i costumi [di Jacqueline Demeterio, assistente costumista già in I love shopping, Sex and the city, Il dittatore] ma, per quanto maniacale, non basta a confezionare un prodotto di qualità indiscutibile come invece riesce a fare la protagonista con la sua azienda. Non basta neanche una divertente quanto velata citazione-chicca del famigerato “codice Hays”, con De Niro che lascia un piede poggiato per terra quando è sul letto a parlare con la sua boss, in conformità con le più antiquate regole della censura.

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Uscendo dalla sala, per quanto sufficientemente rilassati e divertiti, si sente non un’amarezza ma il retrogusto sì dell’occasione sprecata e, a dormirci su, la situazione non migliora con il ritorno alla realtà quotidiana, dove fa carriera chi non ha l’anulare impegnato e dove quasi nessun capo ti direbbe, «Ti domando scusa!» tantomeno i suoi figli. Non convince questo film in un momento storico in cui un’intera generazione si ritrova precaria sul lavoro e, quindi, instabile sul piano economico-sociale. Come se si fosse personaggi di una tragedia greca che, avendo studiato in quantità e qualità più elevate rispetto al passato e potendo vantare una migliore competenza tecnologica, peccano di superbia e sono perciò costretti al supplizio di dover accettare lavori sottopagati, fuori ruolo, bistrattati, sempre quando il lavoro non manca del tutto. Il bisogno di evadere, di ridere di sé, della propria condizione di disagio è innegabile e può essere rappresentato in una commedia leggera, ma non in questa modalità, che ha generato una lunga discussione sulla bacheca degli utenti di IMDb, Internet Movie Database. Il tema è la trama, ritenuta offensiva nei confronti delle classi sociali rappresentate.
Forse è proprio questo il punto: questa sceneggiatura chiede allo spettatore un patto di sospensione dell’incredulità che va ben oltre la fantascienza risultando superficiale, nell’affrontare reali conflitti e tematiche sociali, e ingenua, nelle soluzioni, andando peraltro a togliere spazio alla potenzialmente infinita comicità che le circostanze narrate potevano produrre. Dispiace. Forza Nancy! Andrà meglio la prossima volta, con più coraggio. Riportando un aforisma di Mark Twain che il film cita: non si sbaglia mai a fare la cosa giusta!

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