Le medianeras sono quelle piccole finestre che si aprono nei muri interni dei palazzi, per far entrare uno spiraglio di luce nelle stanze buie delle abitazioni alveari che affollano le metropoli. Si specchiano le une verso le altre ma non si guardano mai tra loro, come le vite degli inquilini stipati in queste enorme scatole di scarpe con poca luce, poca aria e pochi luoghi di incontro, se si escludono le stanze virtuali del web.
Martin e Mariana vivono l’uno di fronte all’altra, due vite parallele e isolate, costellate da fobie e ossessioni, che si sfiorano ogni giorno senza toccarsi mai. Sulla strada, in piscina, alla fermata dell’autobus, sono sempre l’uno a pochi passi dall’altro ma non alzano mai lo sguardo verso l’esterno, immersi come sono nelle loro vite asfittiche. Persi nel vuoto esistenziale lasciato dalle relazioni sbagliate che si sono lasciati alle spalle, Martin e Mariana si gettano a capofitto in un susseguirsi di incontri superficiali, che li fanno sprofondare ancora di più nella solitudine, li chiudono nel perimetro angusto della loro stanza, con il web come unica finestra virtuale sul mondo.
Buenos Aires contiene tre milioni di individui, trabocca di razze, colori e individualità. Se ci si affaccia dalla finestra e si guardano le strade affollate dall’alto, sembra di essere nel bel mezzo di uno dei libri illustrati della serie Dov’è Wally, in cui gli occhi saltano da un personaggio all’altro e si perdono nella miriade di colori alla ricerca di Wally, l’omino buffo con gli occhiali e il maglione a righe bianche è rosse. Wally è lì per tutto il tempo, immobile, ma per trovarlo bisogna soffermarsi ad osservare, scandagliare tutti i personaggi per trovare l’unico giusto. Come il personaggio del loro libro preferito, Mariana cerca disperatamente il suo Wally, e crede di rivederlo in tutti gli uomini che incontra, senza rendersi conto che Martin è proprio sotto i suoi occhi, e per incontrarlo nella realtà deve solo ascoltare i segnali e sfondare i muri veri e fittizi in cui si è rinchiusa.
L’irregolarità etica ed estetica dell’architettura di Buenos Aires rispecchia le coscienze dei suoi abitanti, isolati in un labirinto urbano in cui ci si scontra in continuazione senza incontrarsi mai, e ripiegati su se stessi in una città dove il numero delle persone che gli passa accanto ogni giorno e è inversamente proporzionale a quello degli amici. Sullo sfondo grigio della megalopoli, in cui i palazzi si abbarbicano gli uni sugli altri, chiudendo il cielo e sottraendo aria a chi li popola, Gustavo Taretto costruisce la sua favola urbana su un’architettura estremamente moderna, addossando alle nuove tecnologie la colpa della solitudine urbana e dell’isolamento.
Siamo tutti connessi, sempre e in ogni luogo. I cavi dei fili elettrici che ci permettono di comunicare virtualmente foderano il cielo e precludono la vista dei rapporti autentici e di quelle persone, che potrebbero cambiarci la vita se solo avessimo il coraggio di scendere in strada e di parlargli, e le abitazioni chiudono nella sicurezza di un perimetro definito, in cui tutto il mondo è alla portata di un click. Come un osservatore attento, Taretto entra silenziosamente nelle vite di Martin e Mariana, e attraverso le loro angosce quotidiane offre un punto di vista diverso sulla città, in cui persone e palazzi sono gli uni lo specchio degli altri, intrappolati in un mondo artificiale che incapsula l’esistenza, e impedisce di vivere liberamente.