My Old Lady, di Israel Horovitz

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Senza conoscere neanche una parola di francese e con una montagna di debiti da ripagare, lo scrittore fallito Mathias Gold vola Parigi per vendere l’appartamento ereditato dal padre nel lussuoso quartiere di Jardin du Luxemburg. Come da copione il bohémien d’altri tempi porta con sé solo un vecchio quaderno, una giacca sdrucita, una bottiglia di vino per le emergenze, e un bagaglio insostenibile di ricordi legati a un padre sempre assente, che incolpa immancabilmente per suoi fallimenti. L’appartamento è estremamente raffinato, circondato da un vasto giardino, e vale quanto l’inizio di una nuova vita libera dai debiti. Sfortunatamente al suo arrivo trova ad attenderlo una sorpresa inaspettata: un’anziana signora inglese occupa l’appartamento insieme a sua figlia, ed è autorizzata a rimanerci grazie al “viager”, una forma tutta francese di vitalizio che impedisce ai legittimi proprietari di prendere possesso di un immobile fino alla morte degli occupanti. Senza un soldo per pagarsi il biglietto di ritorno per l’Ametica, Mathias è costretto a rimanere sul suolo francese per un tempo indefinito.

Travolto da una miriade di emozioni diverse, Mathias passa repentinamente dalla delusione verso l’ennesimo tiro mancino che gli ha giocato il padre defunto, all’odio verso l’anziana vedova, che cerca in ogni modo di mandare via di casa, fino alla curiosità verso il rapporto epistolare che per anni aveva intrattenuto con suo padre, nascondendo al mondo intero un amore profondo, ostacolato dalle circostanze della vita. Due matrimoni si erano piegati sotto questa passione clandestina e due bambini, ormai diventati adulti, avevano sofferto la mancanza di amore nella loro famiglia e le fughe dei loro genitori verso un amante sconosciuto. Mathias e Chloé, la figlia di Mathilde, sono molto simili, entrambi adulti incompiuti che non hanno mai avuto la forza di perdonare i loro genitori e di mettersi il passato alle spalle, eppure tra loro non si instaura una simpatia immediata e neanche un’empatia. Il loro rapporto è eternamente conflittuale, faticano ad aprirsi completamente l’uno all’altra e proprio quando stanno per lasciarsi andare a un affetto più profondo fanno un passo indietro, per timore di ripercorrere la strada tracciata dai loro genitori.

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I fantasmi del passato opprimono costantemente il presente in questa commedia agrodolce, che invita a riconciliarsi con se stessi e a rimettere in ordine i tasselli scomposti della una vita perdonando gli errori di chi ha seguito il cuore non curandosi della sofferenza degli altri. Nessuno è innocente, ognuno dei tre personaggi che girano intorno a questa piccola storia è colpevole dell’infelicità di qualcun altro, più o meno consapevolmente, e solo attraverso il dialogo e la faticosa ricerca di un punto d’incontro possono chiudere i conti con il passato e andare avanti. I personaggi si svelano attraverso il racconto di ciò che è stato e comprendono come le loro vite siano legate da sempre da un dolore taciuto e qui hanno la possibilità di crescere. L’azione passa in secondo piano rispetto a un dialogo denso che nasce per la scena più che per il grande schermo dalla penna  del commediografo Israel Horovitz che, dopo aver portato la sua pièce teatrale My Old Lady in giro per il mondo, ha deciso di adattarla per il cinema sul palcoscenico sontuoso di una Parigi autunnale. La storia, originariamente ambientata nell’abitazione della vecchia signora, assume qui un respiro più ampio e si estende a nuovi personaggi di contorno, ma conserva l’impianto fortemente teatrale dell’originale e condensa nella parola il potere di plasmare l’essere umano, qualunque sia la scena su cui si muove.

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