Sole cuore amore, di Daniele Vicari

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Un cappotto scarlatto si muove instancabile tra l’hinterland romano e la metropoli. È un globulo rosso che fluisce lungo le arterie capitoline e termina la sua corsa nel piccolo capillare familiare, lungo la strada per Torvaianica. E poi ricomincia. È Eli, protagonista di Sole cuore amore, nuovo film di Daniele Vicari, e interpretata da una Isabella Ragonese in ottima forma.

Eli lavora sette giorni su sette in un bar sull’Appio-tuscolano, accudisce quattro figli e un marito volenteroso ma disoccupato e ogni sacrosanto giorno impiega due ore per andare e altrettante per tornare da lavoro. Trova tempo per tutto, tranne che per lamentarsi. La sveglia è implacabile, strepita alle quattro e mezza del mattino e ricorda ad Eli che il sole è ancora un miraggio e che il pullman non aspetta. Il lavoro da barista le piace, ci sa fare con i clienti, sa gestire le crisi e rabbonire i borbottii del suo datore di lavoro, e chiede in cambio solo di poter sognare una vita più dignitosa e stabile.

Il suo contraltare è Vale, interpretata da Eva Grieco, una danzatrice performer che vive di notte, dorme fino tardi, ma ha la casa vuota, uno scarso equilibrio in fatto di relazioni amorose e un difficile rapporto con la madre.
Le due donne si incontrano di sfuggita, come se non potessero coesistere nello stesso momento e nello stesso luogo, eppure vivono nello stesso palazzo, eppure sono amiche intime, due sorelle di vita.
Si scambiano i sorrisi, le occhiate d’affetto sincere per quelle frazioni di istanti che le vedono entrambe sulla strada buia di fronte al loro palazzo. È un fiume nero che divide le loro vite, ma non riesce a separare la sorellanza.

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Due storie che fanno da contrappunto l’una all’altra, ma che sullo schermo non funzionano come dovrebbero. Eli carica su di sé lo sguardo e l’empatia dello spettatore, se ne fa carico fino a trasportarli con cura lunga la sua via crucis, strappandoli alla sua controparte, che si esibisce, balla con intensità e professionalità, ma rimane distante, un miraggio impalpabile.

È una vita aspra quella che Vicari ha diretto, senza toni melensi, senza piagnistei inutili, con sbavature che sbiadiscono la trama ma non l’impatto emotivo. Eli è il cuore del titolo e insieme a suo marito ha costruito un amore solido, vivido e delicato. Ciò che manca nella sua vita è il sole, la luce di un futuro migliore che proprio non ce la fa a sorgere, che nessuna sveglia è in grado di annunciare.

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Le musiche Jazz di Stefano di Battista e la fotografia di Gherardo Gossi cementano e rendono solido “Sole cuore amore”, donando una poesia che non sempre nella vita, di Eli come di qualsiasi persona, è ravvisabile.
Il punto di rottura arriva quasi inaspettato, ma è tagliente e angosciante, soprattutto perché reale. Reale come la storia, romana anch’essa, a cui Vicari si è ispirato.
La fatica dell’esistenza, la lotta per non affogare, l’inquietudine di un domani non certo e non migliore dell’oggi sono la croce e i chiodi di migliaia di giovani e alla fine, seduti sul bus che ci riporterà a casa dal cinema, ci chiediamo quanti dei nostri vicini di viaggio affrontino la stessa quotidiana via crucis.

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