Mark Watney (Matt Damon) lo sa sin dal momento in cui apre gli occhi dopo l’impatto: è rimasto da solo a 300 milioni di chilometri da casa, su un pianeta pressoché sconosciuto. Per sfuggire a una violenta tempesta l’Ares 3 ha organizzato un piano di rientro d’emergenza, ma qualcosa è andato storto. Il resto dell’equipaggio lo ha abbandonato lì credendolo morto e tra dieci mesi raggiungerà la terra. E lui? Lui si ricuce le ferite, rileva i danni all’hub e al Rover esplorativo, fa la conta dei viveri e prende una decisione: non morirà su Marte. Nessuna allerta spoiler dicendo che l’intento del protagonista verrà ripagato: il titolo italiano del film non lascia dubbi di sorta (contrariamente all’originale inglese, conforme al titolo del romanzo The Martian del biologo Andy Weir da cui la pellicola è tratta): Mark sopravvivrà. Ma a quale prezzo?
La lotta per la sopravvivenza diventa una lotta contro l’infertilità, l’inospitalità e la solitudine. Il prezzo da pagare per resistere i Sol (i giorni marziani, di durata di poco differente da quelli terrestri) che lo separano dalla missione di Ares 4 in arrivo tra 4 anni è la conoscenza profonda di se stessi. Il proprio io può diventare un amico fedele o il nemico più acerrimo: Mark ha stretto un bellissimo rapporto con la propria interiorità, la mossa giusta per affrontare mesi di lotta e attesa, di ingegno e delusioni, di speranza e consapevolezze.
Ridley Scott torna dietro alla macchina da presa con Sopravvissuto – The Martian in maniera intelligente ed emozionante. La tecnologia di cui non disponeva ai tempi di Blade Runner (come il green screen più grande mai usato nel cinema), lo aiuta di certo a creare un’atmosfera talmente realistica da far sembrare Marte quasi familiare, ma il suo talento fa tanto. I guizzi di regia rimangono sempre frizzanti e divertenti: 130 minuti trascorrono senza l’angoscia di conoscere la sorte di un Matt Damon in una delle sue migliori interpretazioni ma con la curiosità di scoprire quale diavoleria si inventerà al sopraggiungere del prossimo imprevisto. Il resto del cast, poi, inclusi i comprimari come Kate Mara o Michael Peña, è ben calato in ogni personaggio (Jeff Daniels e Sean Bean su tutti).
Dimentichiamo The Counselor – Il Procuratore (2013) e Prometheus (2012) e godiamo di quello che non può essere definito un semplice film di fantascienza (che così “fanta” non è, visto che l’ESA prevede di inviare astronauti su Marte nel periodo 2030-2035), ma che diventa una vera e propria ispirazione sul futuro. La storia di un botanico, che scartabella in tutti i file della sua mente alla ricerca di quel dettaglio utile che non gli permetta semplicemente di sopravvivere ma di pianificare una permanenza duratura, non racconta la semplice curiosità scientifica ma lo spirito creativo e combattivo dell’uomo; un inno alla genialità umana, da non impiegare solo quando l’esigenza di risolvere un problema è impellente ma in ogni momento dell’esistenza. In questo modo qualunque risultato si raggiungerebbe in pochissimo tempo.