Gardner Lodge (Matt Damon) vive nella ridente Suburbicon con la moglie Rose (Julianne Moore), rimasta paralizzata in seguito ad un incidente, e il figlio Nicky (Noah Jupe). La sorella gemella di Rose, Margaret (interpretata sempre da Julianne Moore), vive insieme a loro per aiutarli nella quotidianità casalinga. L’apparente tranquillità della cittadina entra in crisi quando una coppia di colore, i Mayers, con un bambino dell’età di Nicky, si trasferisce nella villetta accanto ai Gardner. L’intera comunità di Suburbicon s’infiamma e si impegna per ricacciare indietro “i negri invasori” con ogni mezzo. Intanto, la famiglia Lodge è impegnata a fronteggiare un dramma (ma sarà vero?) familiare bel più grave: due delinquenti irrompono nottetempo nella loro casa, stordendoli con il cloroformio e uccidendo la zia Rose.
George Clooney (qui in veste di regista, sceneggiatore e produttore) innesta su un copione degli anni Ottanta dei fratelli Coen la storia vera dell’ondata di violenza che scatenarono, negli anni Cinqunta, le prime installazioni di famiglie di colore nei centri residenziali della middle class bianca e xenofoba. La scelta della storia ci dice subito che anche sotto la patina di una dark comedy in cui il primo termine pesa più del secondo, l’ultimo lavoro di Clooney è ancora una volta (dopo Le idi di marzo) un testo dall’elevato peso morale e, nel corso dell’era Trump, di spiccato orientamento politico (con i più smaliziati che parlano addirittura di una futura candidatura di Clooney alla Presidenza, forte dell’appoggio della moglie Amal).
Il suo Suburbicon è un mix dell’umorismo classico del “made in Coen”, che nel caso dell’ultima regia del premio Oscar propone un intrattenimento inteso come veicolo di un affondo politico: la storia riecheggia la situazione socio-politica americana attuale, non c’è nemmeno bisogno di starlo a spiegare; e va da sé che da questo punto di vista l’operazione di Clooney è decisamente meritoria, che gli serva da trampolino elettorale o meno. Così come è interessante, sebbene un po’ naif, che ad assistere alle follie raccontate nel film, e suo vero protagonista, sia un bambino: che non impara però da tutto questo l’odio, quanto invece la tolleranza e l’accoglienza. Di fronte alla turpitudine della folla, e della sua stessa famiglia, il piccolo Nicky imparerà la lezione più importante dal coetaneo nero dal quale è spedito dalla mamma all’inizio del film per giocare a baseball insieme: la lezione della resilienza. Mai mostrarsi spaventati, mai fare passi indietro, non reagire ma andare avanti, forti dei propri valori.
Suburbicon tiene il ritmo, anche se si dimostra una pellicola che potrebbe far storcere il naso ai palati più delicati e risultare di difficile digestione agli stomaci più deboli. Metafore alimentari a parte, il film vede ancora una volta un Matt Damon poliedrico (ingrassato a dismisura per il ruolo) e una Julianne Moore divertita nel gestire la doppia faccia delle sorelle Rose e Margaret. Un film non imperdibile, ma godibile nella suo messaggio sotteso.