Aaron Eckhart

Sully, di Clint Eastwood

Basato sul libro Highest Duty di Chesley “Sully” Sullenberger

“Niente ha precedenti quando accade per la prima volta”. L’ironia del capitano Sullenberger strappa un sorriso all’algida commissione investigativa che lo sta interrogando. Un sorriso amaro: quello di un uomo che ha salvato la vita a 155 persone, grazie a una decisione diventata, però, immediatamente oggetto di una lunga e severa indagine del National Transportation Safety Board (NTSB), agenzia indipendente del Governo degli Stati Uniti deputata alla conduzione di indagini su incidenti che coinvolgono aeroplani, gasdotti, oleodotti, navi e treni.

15 gennaio 2009, New York, aeroporto LaGuardia, ore 15:20 ora locale: sta per decollare l’Airbus A320 della US Airways, volo 1549. Nella cabina di pilotaggio sono seduti il capitano, Chesley Sullenberger, e il co-pilota, Jeff Skiles. Nomi, numeri, combinazioni, dettagli, destinati a rimanere nella storia: a soli 2800 piedi uno stormo di uccelli colpisce l’aereo e causa un’avaria ad entrambi i motori. Quello che succederà nei 208 secondi successivi sarà ricordato come “il miracolo dell’Hudson”, e Sully, il capitano, salutato come un eroe e come un potenziale scriteriato. Eroe per i 154 passeggeri del volo e per il resto del mondo, e oggetto di severe investigazioni da parte dell’NTSB, incaricato di portare alla luce i dettagli di una decisione apparentemente ingiustificata oltre che mortalmente rischiosa. Eppure, solo pochi minuti dopo il mayday, le ali di un aeroplano ammarato nel bel mezzo di un fiume che scorre tra il New Jersey e la West Side di Manhattan cominciano ad affollarsi di gambe, giubbotti di salvataggio, braccia che si cingono e volti increduli ma consapevoli di essere ancora nel pieno della vita. Tutti salvi. Una storia mai raccontata prima.

sully-film-1024x576

In soli 24 minuti si radunano intorno al volo 1549 le migliori squadre di soccorso di New York: Sully, in quei tre minuti prima dell’impatto, era riuscito a calcolare anche che i traghetti in servizio sull’Hudson avrebbero avvistato immediatamente il velivolo e sarebbero intervenuti tempestivamente. Nonostante il successo di un’impresa mai riuscita prima, però, le notti del capitano sono infestate dai fantasmi di ciò che sarebbe potuto accadere se avesse seguito la procedura di rientro a LaGuardia, o al vicino aeroporto di Teterboro: un altro 11 settembre, un’altra tragedia di proporzioni incalcolabili. Di giorno, invece, Sully deve affrontare un processo, le domande a tratti lusinghiere a tratti insolenti dei giornalisti, una vita poco prima “normale” e ora completamente stravolta, il dilemma interiore: era davvero sicuro di potercela fare? L’ammaraggio sull’Hudson era davvero l’unica alternativa?

3504-sully-le-film-qui-revient-sur-lamerrissage-de-l-a320-sur-lhudson

Clint Eastwood, regista e produttore del film, affida al premio Oscar Tom Hanks l’affascinante personalità del capitano Chesley Sullenberger, portando fedelmente sullo schermo il suo contegno, la forza, la certezza di essere un uomo normale, né eroe né incosciente, che ha saputo dominare la paura nonostante nessuna simulazione, nessuna scuola, nessun istruttore lo insegnino, mai. Lui, Il fattore X dell’equazione, diviene, addosso a Tom Hanks, un marito e un padre affettuoso, dedito al proprio lavoro svolto con assoluta professionalità da 42 anni, un uomo profondamente scosso dalla responsabilità di aver salvato la vita dei suoi passeggeri tramite una manovra tanto azzardata: questo è l’”Highest Duty”, il dovere più alto, titolo del libro scritto dallo stesso capitano Sullenberger e da Jeffrey Zaslow, e da cui è stata tratta la sceneggiatura di Todd Komarnicki. Con un punto di vista originale, alternativo: non solo quei 208 minuti prima dell’impatto; non solo il tempo necessario per i soccorsi e per la constatazione che non era stato perso nessuno. Il centro di gravità è fatto di quegli incubi, degli impatti catastrofici allucinati, delle telefonate tra un marito che attende di essere processato e una moglie che ne raccoglie i silenzi smarriti e le crisi, nelle pause che separano un servizio e l’altro al telegiornale e l’assedio dei giornalisti appena fuori il portone di casa.

Tra i meriti del film, c’è sicuramente quello di non aver lasciato piede al sentimentalismo: nonostante più di qualche scena muova all’empatia, il tratteggio dei personaggi tradisce la mano salda di chi non vuole banalmente commuovere, bensì mettere di fronte al dilemma, alla responsabilità, alla scelta.

Un consiglio: non abbiate troppa fretta di alzarvi dopo i titoli di coda.

Attacco al potere 2, di Babak Najafi

Pres. Asher: «Di che diavolo sei fatto?»
Banning: «Di Bourbon e pessime scelte»

Gli Stati Uniti si sono ripresi dal precedente attacco nord coreano e vivono un periodo di pace. Fin quando a Londra il Primo Ministro muore per quelle che sembrano circostanze ordinarie. Al suo funerale parteciperanno tutti i maggiori capi di Stato, compreso il presidente Benjamin Asher [Aaron Eckhart]. Il suo capo della sicurezza, e amico, Mike Banning [Gerard Butler], in procinto di diventare padre e dare le dimissioni per occuparsi a tempo pieno della famiglia, dovrà accompagnarlo per un’ultima missione, che dovrebbe essere pura routine. Ma quello che doveva essere un evento blindatissimo si rivela un complotto ben orchestrato che mira ad uccidere i più potenti leader mondiali. Non ci vuole molto a Banning per capire che i terroristi devono essere stati aiutati da qualcuno all’interno, ma come potrà cavarsela, braccato in una Londra sotto attacco, senza potersi fidare di nessuno?

Mettere a ferro e fuoco una capitale europea e uccidere innocenti, oltre ai maggiori capi di Stato è Storia prima che trama di un film d’azione. L’atteggiamento di lotta a oltranza per la sopravvivenza, di sopraffazione totale del nemico senza alcuna remora o pietà, la vendetta come unico sentimento che muove le coscienze al pari dell’amore verso il proprio Paese e chi lo rappresenta, sono le fondamenta sulle quali è costruita la trama del seguito di Attacco al potere.

Stavolta il coriaceo agente Banning è fuori dal suo territorio e dovrà dar fondo a tutte le sue qualità militari per poter salvare il Presidente e sconfiggere un nemico che è rappresentato come vendicativo, senza scrupoli e spietato, ma votato eroicamente al sacrificio, pur di raggiungere il suo scopo: un terrorista che, dallo Yemen, mette in atto un’azione militare ben precisa, che oggi, in seguito agli attentati di Parigi, riconosciamo come fondatamente realistica. Probabilmente il ritardo nell’uscita del film nelle sale è da imputare proprio alla stretta connessione con i tragici eventi di novembre 2015.

ShakeMoviesStandard0

Thriller e terrorismo: un connubio di successo che va ben oltre il cliché cinematografico e che trova etimologicamente la sua spiegazione nell’origine dei termini, entrambi derivati dalla comune radice indoeuropea ter-, che vuol dire “tremare”. Una tensione che rimane una costante per tutta la durata del film. Un film d’azione che ha il fine ultimo di fungere da catarsi: a prescindere dal finale, lieto o tragico che sia, l’importante è dare «a quei bastardi» quello che si meritano, senza stare a pensare cosa ci sia nascosto sotto, o dietro, nell’ombra, quali conseguenze possano esserci per l’economia globale quando metropoli come Londra vengono rase al suolo per un terzo e i capi di governo sono allo sbando.

Civiltà, diplomazia, rispetto nei confronti dell’avversario, non aspettatevi di vederne che qualche fortuito secondo. Questa è una di quelle rare occasioni, ormai, in cui potete godere di una sparatutto mozzafiato, adrenalinico, a tratti condito con quell’ironia e quel sarcasmo che trovano la similitudine più recente nelle battute di John McClane nella saga di Die hard.

L’idea di base è evidentemente quella di intrattenere come può fare un videogioco, ma aggiungendo un inaspettato punto di vista, lasciato un po’ tra le righe, che però non va trascurato, dal momento che il regista è di origini iraniane: l’eroicità dei gesti nelle file nemiche, che fanno da specchio a quelle dei colleghi americani, insinuano, quasi sotto pelle, un retrogusto amaro della battaglia, in cui chi concretamente combatte ha tutto da perdere e ben poco da guadagnare.

Cambio della guardia nel settore regia. A dirigere è lo svedese di origini iraniane Babak Najafi [Sebbe, Snabba cash II], non più Antoine Fuqua [Training day, The equalizer, Brooklyn’s finest], che è in fase di post-produzione con il remake de I magnifici sette e che è annunciato come regista di The man who made it snow, con un ispirato Jake Gyllenhaal, chiamato ad interpretare Max Mermelstein, il trafficante di droga del cartello di Medellín che lavorava come ingegnere allo Sheraton Hotel.

È stato, però, mantenuto intatto il nucleo di sceneggiatori che hanno creato la storia e i personaggi del primo Attacco al potere – Olympus has fallen, Creighton Rothenberger e Katrin Benedikt, conosciutisi proprio ad un master di scrittura creativa nel 2000 a Philadelphia.

Alla coppia, nel lavoro e nella vita, si aggiungono Christian Gudegast [Il risolutore, Ragazze al limite e, prossimamente, Den of thieves, sempre con Gerard Butler] e il promettente Chad St. John che, dopo il sorprendente cortometraggio The Punisher: Dirty laundry, ha firmato la sceneggiatura di Replicas, uno sci-fi thriller con Keanu Reeves che dovrebbe uscire nel 2017.

ShakeMoviesStandard3

Un’altra caratteristica, purtroppo mantenuta inalterata, è il mancato utilizzo del titolo originale London has fallen (“Londra è caduta”), che richiamerebbe quell’Olympus has fallen del primo capitolo del franchise, che nei codice dei Servizi Segreti è “la Casa Bianca è caduta”. Non è colpa della nuova distribuzione M2 Pictures che, di fatto, si trova in qualche modo costretta a mantenere un anacronistico sequel numerato, che non fa onore all’ottimo prodotto, girato, peraltro, con una qualità audio-video indiscutibilmente  alta [Red Epic Dragon con file di lavorazione da 5K]. Fu la Notorius Pictures a distribuire a suo tempo, in Italia, il primo film, con il titolo Attacco al potere, vuoi per facilitare quella fetta di pubblico che non mastica ancora l’inglese o per sfruttamento commerciale dell’indimenticato film con Denzel Washington e Bruce Willis del 1998. Curioso, poi, che anche quel film sia stato oggetto, allora, di una fantasiosa traduzione dall’originale The Siege, che in realtà sarebbe “l’assedio”, per non creare confusione con l’altrimenti omonimo film di Bernardo Bertolucci, in contemporanea uscita nei cinema lo stesso giorno, il 5 febbraio 1999.

«La tecnologia è buona solo se non la usano gli imbecilli»

Quale sarà il prossimo obiettivo dei nemici? Roma? Madrid? Berlino? Oppure una metropoli orientale? Non è ancora stato annunciato nulla a tal riguardo. Se il franchise continuerà, lo deciderà l’accoglienza riservata dagli spettatori a questo seguito in trasferta europea.