Alejandro Amenábar

Regression, di Alejandro Amenábar

Il male è nell’uomo e non può essere cancellato. Non è una contaminazione esterna, né il frutto di una tentazione diabolica, ma l’orrendo parto della mente umana, che sin dalla nascita custodisce in seno il seme male e lo nutre inconsapevolmente giorno dopo giorno. Questo sentimento oscuro cresce, si contorce e si dibatte senza far rumore, si insinua nei pensieri e si manifesta negli incubi più tremendi, ma non viene alla luce fino a quando la ragione ha la forza di combatterlo. Talvolta il male rimane assopito per l’intera esistenza, altre volte invece esplode con tutta la sua brutalità, ferisce e uccide, ed è a questo punto che la scienza e la religione scendono in campo per estirpare il seme del demonio, gli istinti più bassi e la sete di sangue dell’essere umano. La psicologia cerca le cause primarie che hanno scatenato il male, scavando nei ricordi, nei sogni e persino nelle vite mai vissute, mentre la religione si sforza di curarlo con il perdono, con la preghiera e nei casi più gravi con l’esorcismo, ma nulla può annientare le forze oscure che governano le azioni dell’uomo, perché sono impastate nella sua stessa essenza.

"Regression" Day 19 Photo: Jan Thijs 2014
Chiunque può compiere azioni terribili e nasconderle accuratamente tra le mura di casa, indossando per tutta la vita la maschera dell’uomo più onesto o della ragazza più morigerata della città, ma quando il vaso di Pandora si scoperchia e l’orrore viene alla luce, la paura avvolge l’intera comunità e attraverso i media serpeggia in tutto il paese, fino a diventare un incubo globale. Il detective Bruce Kenner incontra i suoi incubi peggiori nel 1990, quando l’eterea Angela accusa suo padre John Gray di aver abusato di lei e di averla torturata in riti satanici di gruppo. L’uomo non ricorda niente, ma grazie all’ipnosi regressiva riesce a intravedere nell’oscurità della sua mente le immagini orrende degli stupri e degli omicidi che ha praticato per mano di Satana. La visione plasma la realtà a sua immagine e in questo percorso infernale a ritroso nel tempo nessuno sembra innocente, né la famiglia, né la piccola comunità timorata di Dio in cui vivono i Gray, né tanto meno il detective Kenner.

Le allucinazioni si sovrappongono ai sogni, la realtà all’immaginazione, e in questo gioco perverso in cui nulla è come sembra, Alejandro Amenábar gioca con lo spettatore, lo confonde con sue le sue visioni orrorifiche e mette in discussione tutto ciò a cui assiste, che vede e che ascolta. L’orrore nasce dal disorientamento, da uno stato di sonnambulismo costante in cui chiunque può macchiarsi le mani di sangue innocente per poi dimenticare tutto al risveglio, ponendo il film come un’esplorazione della mente e del male che nasconde, più che come la sua espressione tangibile sulla terra. In questo senso Amenábar compie una “regressione” tematica nella sua filmografia, ritornando alla percezione distorta della realtà di The Others, per incontrare le atmosfere allucinatorie di Apri gli occhi, fino ad accarezzare il potere ipnotico della contemplazione dell’orrore che guidava Tesis. Ma rispetto alle opere precedenti il regista spagnolo non riesce ad amalgamare tutti gli elementi con la stessa efficacia del passato, regredendo anche stilisticamente in un thriller psicologico che oscilla tra i generi ma non ne abbraccia mai nessuno con convinzione. Il risultato è che i personaggi galleggiano in uno stato costante di coscienza-incoscienza su uno sfondo livido come le loro anime, e si lasciano andare passivamente al flusso dell’esistenza, assistendo alla lotta tra il bene e il male che si combatte nella loro mente senza mai schierarsi, proprio come fa Amenábar con il suo film.