Álex de la Iglesia

Berlinale 67 – El Bar, di Álex de la Iglesia

El Bar è l’anticamera dell’inferno, quel luogo angusto in cui le anime, ammassate le une alle altre nella melma putrescente, aspettano di sapere chi si salverà e chi sarà dannato. Questo è l’inferno per Álex de la Iglesia, una dimensione estremamente umana, in cui le creature più spaventose sono gli uomini stessi, crudeli, abietti e disposti a farsi a pezzi l’uno con l’altro pur di aver salva la vita.

Dopo tutto basta prendere un gruppo eterogeneo di esseri umani, rinchiuderli in uno spazio ristretto per un tempo indefinito, possibilmente con una minaccia che incombe dall’esterno e il gioco è fatto, la miccia è accesa. Che si tratti di un’isola deserta o di un’apocalisse zombie, i meccanismi che si innescano tra le persone sono sempre gli stessi: il sospetto, la caccia e l’omicidio. E Álex de la Iglesia si diverte a giocare con i suoi personaggi come topi da laboratorio, creando situazioni surreali per scatenare reazioni estreme, per scavare a fondo negli uomini e scoprire quanto male sono in grado di farsi l’un l’altro.

A questo punto basta prendere un gruppo di persone che non si conoscono tra loro, intrappolarle in un bar a caso nel centro di Madrid con lo spettro di una minaccia sconosciuta che gli impedisce di scappare, e stare a vedere  che succede. L’inferno, appunto.

Questi sono gli elementi che fanno di El bar un cocktail letale di violenza e comicità demenziale, miscelato come solo Álex de la Iglesia sa fare nella sua commedia del terrore, in cui tutto sembra folle, sopra le righe, ma misteriosamente funziona, tiene incollati allo schermo e fa ridere a crepa pelle. Non si può resistere al suo humor nero, l’unica possibilità è lasciarsi risucchiare in questo vortice di nonsense e vedere cosa accade.

Berlinale 67 – Álex de la Iglesia presenta El bar

Il maestro della commedia del terrore spagnola, Álex de la Iglesia, dopo Las Brujas de Zugarramurdi torna con un nuovo film, El Bar, interamente ambientato in un bar di Madrid e presentato fuori concorso alla 67′ edizione della Berlinale. Il regista ha presentato il film con alcuni membri del cast, dalla bellissima Blanca Suárez, a Mario Casas, Secun de la Rosa e Jaime Ordóñez.

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“La vita è un inferno – ha esordito Álex de la Iglesia – e pertanto il modo migliore per rappresentarla è la commedia del terrore. La mia visione del mondo è terrificante, per me è un enorme un labirinto da cui cercare una via d’uscita, ed è proprio questo che ho cercato di mostrare nel mio film. Siamo in un momento storico in cui emotivamente ci sentiamo intrappolati in una situazione senza via d’uscita, e per questo El bar potrebbe essere ambientato in qualunque città, perché appartiene a un mondo dell’immaginazione internazionale,  in cui abbiamo la consapevolezza che qualcuno può decidere quando dovremo morire, e può accadere in qualunque momento. L’unica via d’uscita potrebbe essere la religione e per questo è molto presente nel film, incarnata da Jaime Ordóñez che interpreta Israel.

“Alex aveva un’idea molto precisa del film che voleva fare – ha detto Jaime Ordóñez – e il mio personaggio doveva essere colui che annunciava l’apocalisse incombente. E lui era l’unico a non avere paura, perché non aveva niente da perdere rispetto agli altri. Israel non è spaventato e come fa il classico pazzo dice sempre ciò che pensa, perché non teme il giudizio degli altri, che invece non fanno altro che fingere. “Nel film i personaggi si trovano in una situazione limite in cui devono sopravvivere – ha aggiunto Blanca Suárez Sopravvivenza e reazione in una situazione limite. Se ti confronti con la morte emergono i tuoi istinti più reconditi, si vede chi sei veramente e nel film non è mai dato sapersi se a sopravvivere alla fine sono i personaggi più buoni o semplicemente quelli più bravi a manipolare gli altri. Alla fine la morale del film è che siamo tutti peccatori e nessuno può salvarci”.

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“I personaggi sono uno diverso dall’altro – ha affermato Secun de la Rosa – quasi archetipi, c’è chi vince, chi perde, chi è in grado di combattere e chi di manipolare le persone. E uno si chiede costantemente ci sopravviverà, se il più intelligente, il può buono, il più bravo a combattere, ma la cosa più interessante è che nel corso del film le relazioni tra i personaggi cambiano e gradualmente viene fuori il loro lato peggiore. Il mio personaggio ad esempio è un buono, ma alla fine si trasforma in una bestia.

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Mario Casas ha concluso: “Alex ci ha messi alla prova fisicamente e psicologicamente, siamo stati sul set sette settimane senza mai rilassarci, e un po’ come i personaggi del film abbiamo imparato a conoscerci e a superare i nostri limiti. El bar è stata una vera e propria scuola di sopravvivenza”.

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