“Ma perché mi guardate così? Cosa c’è di sbagliato nel mio modo di amare? Io non voglio cambiare, io non posso, non sono così forte”. L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno, è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme… Perché Sappiamo ciò che siamo ma non quello che potremmo essere. Nonostante tutto è una bella prigione il mondo. Fatevelo dire da delle pazze.
Tre donne in scena. Tutte e tre condividono lo stesso destino. Amleta, Ofelia e Gertrude si sono ritrovate dopo quattrocento anni sul palcoscenico del mondo per raccontare la loro storia e portare alla luce la verità attraverso la finzione del teatro. Il testo shakespeariano però è solo un canovaccio sul quale ricamano le loro personalità, quasi uno stratagemma per raggiungere un pubblico altrimenti inaccessibile, condurlo nella Casa Circondariale Femminile di Rebibbia e dare finalmente la propria versione dei fatti.
Amleta incarna la follia, Ofelia l’abbandono e Gertrude le scelte sbagliate fatte in nome dell’amore, ma se pur diverse queste tre donne sono accomunate dal medesimo destino. Sono prigioniere in una vita che non gli appartiene più e stanno pagando a caro prezzo gli errori del passato. Nel non luogo in cui si ritrovano, che più che al freddo castello di Elsinore somiglia ad un caldo salotto, danno libero sfogo ai loro pensieri condividendo uno spirito di sorellanza che mai si è visto nel testo shakespeariano, ma che qui è la chiave per comprendere lo stato d’animo di queste eroine. Nello stare insieme ritrovano la pace, nella recitazione la libertà, nel teatro la casa. Ed è solo sul palcoscenico che riescono ad essere sè stesse, a mostrare chi sono oggi, nell’hic et nunc della rappresentazione. Per essere qui hanno studiato, lavorato duramente e percorso una strada tortuosa, fatta di prove interminabili e infinite riscritture del copione, ma è solo grazie a tutto questo che sono diventate Amleta, Ofelia e Gertrude.
Il teatro ha dato loro un nome nuovo e una vita nuova, in cui l’arte è una parte imprescindibile, è ossigeno e boccata di libertà. Una volta aver provato questa sensazione non è possibile tornare indietro ed è per questo che la Compagnia delle Donne del Muro Alto, guidata dalla regista Francesca Tricarico, continua a lavorare sui testi classici, a riscrivere il passato con le parole del presente e a trovare nel teatro riparo dalle tempeste della vita.
“Una volta assaporata la libertà come si può rinunciare?” Perché in un solo posto siamo libere davvero, siamo noi senza esserlo, a TEATRO. Amleta è stata l’occasione per indagare e riflettere sulla parola giudizio e scelta, ma sopratutto sul viaggio senza ritorno alla scoperta della verità. Amleta è uscita davvero pazza stavolta. Ma la verità questo effetto può fare?”