“Via, maledetta macchia!… Via, ti dico! Uno, due tocchi… Su, questo è il momento! L’inferno è tenebroso….”. Lava, strofina, igienizza e lava ancora, ma non basterebbero tutti i profumi d’Arabia a pulire questa mano. Il virus invisibile è ovunque e non c’è modo di cancellarlo, come il sangue del re Duncan sulle mani assassine di Lady Macbeth, spirito guida in questo inferno terreno in cui il contatto umano è una colpa, e si può morire anche solo per un bacio o per un abbraccio troppo stretto. Su questo palcoscenico globale in cui sta andando in scena la tragedia di un’epidemia senza precedenti, che spazio può avere il teatro e ancor più Shakespeare, con le sue opere sanguigne e i suoi personaggi guidati da passioni violente, travolgenti, che si urlano contro, si stringono, si amano e si uccidono, vicinissimi in scena nelle scene intime come in quelle corali?
Secondo le più recenti disposizioni per contenere l’epidemia di Covid-19 gli attori in scena devono mantenere la distanza di un metro oppure indossare la mascherina. Ma come si può recitare con la mimica facciale completamente annullata e la voce costretta in una mascherina? Come si può mettere in scena Shakespeare senza toccarsi, recitando l’amore e l’odio a un metro di distanza? La legge contiene il teatro, incatena gli attori a una distanza impossibile da mantenere per salvaguardare la loro salute e quella degli spettatori ma, come spesso accade, una situazione di grave crisi può generare una grande creatività e portare alla luce risorse sopite. Un esempio è proprio Shakespeare che, confinato a casa per più di un anno per via dell’epidemia di peste, ha approfittato della chiusura dei teatri per scrivere alcune tra le sue opere più grandi, come Re Lear, Macbeth e Antonio e Cleopatra.
E questo è anche il caso delle due brillanti attrici Annabella Calabrese e Giovanna Cappuccio, che dall’oscurità della quarantena e dalla rigidità granitica delle misure di sicurezza, hanno saputo creare qualcosa di nuovo, figlio di un’epoca di spaesamento, in cui la fame di spettacolo è grande, ma anche la paura del contagio. Shakespeare in plexiglass è proprio questo, un’opera sperimentale che immagina infinite possibilità per portare in scena i drammi shakespeariani senza violare le norme, restando a distanza, separati appunto da schermi di plexiglass. E se il testo shakespeariano rimane invariato non è lo stesso per la performance, completamente riplasmata per questo tempo, ma non meno efficace nell’esecuzione.
Il dramma è palpabile, così come il forte desiderio di continuare a tenere in vita questi straordinari personaggi, onnipresenti sulla scena come fantasmi a cui è concesso di parlare attraverso il corpo e la voce delle due attrici, e che ardono dal desiderio di tornare a vivere come prima il loro spazio e le loro passioni. Nonostante le mascherine, i guanti di lattice e gli schermi di plaxiglass, il teatro è ancora vivo, pulsante e Shakespeare in plexiglass ne è la prova, prologo di una stagione teatrale che si preannuncia per il Teatro Trastevere di Roma unica nel suo genere, ma che tra tante difficoltà saprà trasformare questo momento di arresto in una ripartenza ricca di spunti creativi.