Una volta nella vita: una storia di rinascita che affonda le sue radici in un passato di orrori
La vicenda dei ragazzi della II B del Liceo Léon Blum di Créteil, città nella banlieue sud-est di Parigi, è ispirata a una storia vera. La loro scuola è un incrocio esplosivo di etnie, confessioni religiose e conflitti sociali. Malik (Ahmed Dramè), Mélanie, Olivier – Brahim (non un doppio nome ma un percorso di conversione all’Islam), Jamila, Camélia hanno esistenze difficili. Ognuno professa una religione diversa ma tutti sono accumunati dalla stessa condiziona di giovani borderline in una società che li ha accolti a braccia aperte alla loro nascita ma che inizia a sputarli via ad uno ad uno nel momento in cui diventano quegli adolescenti turbolenti che diventeranno gli adulti “pericolosi” del domani. La professoressa Anne Gueguen (Ariane Ascaride) viene investita da questa tempesta di ribellione quando ad inizio anno scolastico viene assegnata alla classe in qualità di docente di storia, geografia e storia dell’arte. Quello che ha tra le mani è un caso disperato: non solo secondo il dirigente scolastico e i colleghi che “con questa marmaglia” hanno gettato la spugna, ma soprattutto secondo gli stessi ragazzi. La stessa professoressa lo dice chiaramente: si fida più lei di loro di quanto loro si fidino di loro stessi. Per strapparli a questo stato di inedia, Madame Gueguen decide di imbarcarli in un progetto di profondo valore e propone alla classe un progetto comune: partecipare al Concorso nazionale della Resistenza e della Deportazione.
Il Concorso nazionale della Resistenza e della Deportazione (CNRD) è stato ufficialmente istituito nel 1961 in Francia e ha come obiettivo principale la trasmissione dei valori legati ai diritti umani e la possibilità agli studenti di valutarne la pertinenza e la modernità. Grazie alla partecipazione a questo concorso, gli allievi hanno l’occasione di incontrare personalmente partigiani e deportati, creando un legame tangibile tra le generazioni. Per l’edizione 2015‐2016 del concorso, ad esempio, gli studenti sono stati invitati a lavorare sul tema “Resistere attraverso l’arte e la letteratura”. Proprio grazie al CNRD l’esperienza dei protagonisti di Una volta nella vita assume una peculiare caratterizzazione etica e civile, oltre che esemplificativa delle possibilità offerte ad una generazione che gli adulti considerano quasi spacciata. L’incontro con la memoria della Shoah cambierà per sempre la vita degli studenti.
Per una volta questo per sempre non è una frase fatta: il Malik del film è interpretato da Ahmed Dramè che, con qualche piccola variazione, interpreta se stesso: un ragazzo musulmano che vive in una banlieue parigina e che insieme alla sua classe vincerà il CNRD grazie all’aiuto di Madame Anglès (la Gueguen del film); un giovane con il sogno del cinema, che prova a doppiare i protagonisti dei suoi film preferiti guardandoli alla tv e che a 17 anni scrive una sceneggiatura che Marie-Castille Mention-Schaar sceglierà per girare un film, Les Héritiers appunto, Una volta nella vita nella traduzione italiana.
In questa Giornata della Memoria Una volta nella vita rappresenta non un semplice strumento di ricordo ma la documentazione di un’eredità, così come evocato dal titolo originale. La pellicola dal taglio fortemente documentaristico (del resto molti dei ragazzi protagonisti non sono attori professionisti e, come dichiarato dalla stessa regista, le scene improvvisate sono state numerose) è una forma di dialogo costante tra passato, presente e futuro, convergente verso un punto di snodo rappresentato dall’incontro con Léon Zyguel, deportato sopravvissuto all’orrore dei campi di concentramento e che ha fatto della circolazione della testimonianza la sua prima e unica ragione di vita. Quando i giovani (nella finzione della pellicola così come nella realtà dato che la regista racconta che quello è stato l’unico momento delle riprese in cui è stato chiesto ai ragazzi di dimenticare di essere su un set e di concentrarsi sulle emozioni dell’incontro) chiedono all’anziano come abbia fatto a resistere e lui risponde: «Grazie alla voglia che avevo di darmi delle arie con i miei amici di Ménilmontant, alla voglia di raccontare quello che avevo vissuto», capiscono che lui era un adolescente, proprio come loro, sebbene rinchiuso in un campo di sterminio. La vicinanza di questa esperienza fa capire loro di non potere vivere esclusivamente nel presente e che trovare nel passato le radici per una crescita personale consapevole è ciò che possono (o devono) fare per affermarsi nel mondo.
Il fulcro di tutta la storia rimane, quindi, la speranza e la positività. Una volta nella vita è un film ottimista e tanto più ottimista in quanto si tratta di una storia vera che dimostra che è possibile appassionare anche i più reticenti, a condizione che vengano messi al centro del percorso didattico: gli allievi cominciano ad interessarsi al concorso quando ne diventano parte attiva e quando la distanza con il passato si affievolisce fino a scomparire e mette sotto i loro occhi un futuro diverso rispetto a quello che si erano prefigurati. Lo spettatore assiste a un cambiamento e a una crescita, condensati nella dimensione “classe” che la fa da padrona in tutto il film. Sebbene le scene in esterna siano inferiori rispetto a quelle all’interno della scuola, non si avverte alcun senso di claustrofobia durante la visione: ciò che invece si comprende con chiarezza è la preziosità di questo luogo e della professione dell’insegnante, coraggioso baluardo contro la disperazione e primo strumento etico nella vita di ogni individuo.