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Rogue One: A Star Wars Story, di Gareth Edwards

Se mai un giorno la nostra civiltà sparisse e qualcuno dovesse studiarne la cultura, come noi abbiamo analizzato le antiche vicende di eroi della Grecia antica, l’archeologo incaricato non potrà esimersi dalla visione dell’intera saga di Star Wars, ma soprattutto, non potrà non notare le analogie che Rogue One: A Star Wars Story scatena con alcuni tra i brani più famosi dell’epos omerico e virgiliano, nonché con la più moderna epica cavalleresca.

Senza scendere troppo nel dettaglio per non togliere sorprese a quanti ancora non hanno goduto della visione di questo colossal, grandiosamente scritto a tal punto da suscitare l’approvazione fino alla commozione anche dello spettatore più scettico o meno ferrato.

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«Tanto tempo fa in una galassia lontana lontana….»

Così, ovviamente, inizia anche Rogue One ed è subito chiaro che Edwards, pur mantenendo vivo il suo bambino interiore che ha plasmato quell’universo ormai consolidato in modo da adattarlo al suo mondo interiore, sfrondandolo dagli eccessi, dalla retorica fine a se stessa e dall’autocelebrazione a tutti i costi e generando tutta una serie di personaggi nuovi che vivono eventi, di cui, in realtà, si conosce già l’esito, ma che tengono con il fiato sospeso, sempre e comunque. Il merito va ad una sceneggiatura solida che unisce alla fervida e briosa immaginazione di Chris Weitz [Cenerentola, ma anche About a boy] e all’alto tasso di adrenalina di Tony Gilroy [a lui si deve l’adattamento della saga di Jason Bourne], sul soggetto originale del visionario Gary Whitta [Codice Genesi, After Earth e The Walking Dead: The Game – Season 1], che ha supportato John Knoll, alla sua prima prova da scrittore, ma che è, in realtà, una pietra miliare della saga, avendo saltato, da supervisore degli effetti speciali, solo Episodio V – L’impero colpisce ancora.

Una sceneggiatura che, tra le tante gesta degne di nota, narra un episodio di amicizia virile sincera e leale fino al comune tragico destino, un episodio simile a quello di Eurialo e Niso, reso esemplare da Virgilio nell’Eneide, ma anche imprese eroiche di uomini e donne con sommi ideali di giustizia e libertà gridati a gran voce e sbandierati fino al sacrificio estremo, come si tramanda nelle leggende popolari di tutto il mondo; e quando una figura si staglia sul campo di battaglia e attende inamovibile l’inesorabile destino, viene in mente la fierezza del gigantesco Aiace di Omero. Il legame con la leggenda diventa esplicito, poi, se il titolo usato per consegnare segretamente Rogue One nelle sale americane è stato The Alamo.

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Anche i nomi della tradizione lucasiana continuano a rimandare a duelli ancestrali tra il Bene e il Male, Yin contro Yang, che assumono le fattezze originarie di Mon Mothma, figura positiva legata anche etimologicamente al concetto ancestrale di dea “madre”, e Darth Vader, che rimanda alla radice indoeuropea da cui si è formata la parola “padre” e che possiede caratteristiche simili a quelle dell’Oscuro Signore di tolkeniana memoria, nonché al primordiale dio cornuto, la bestia che porterà all’armageddon attraverso un’arma di distruzione di massa, la Morte Nera, che si presenta all’apparenza ingannevole, simile ad una rassicurante luna che, attraverso la luce da sempre benevola, per tutte le culture, qui è latrice di devastazione e annichilimento di ogni forma di vita.

«Tu confondi la pace con il terrore»

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Il regista Gareth Edwards – già apprezzato dalla critica per l’affascinante Monsters, uno sci-fi found-footage catastrofico a low-budget, ed il riuscitissimo reboot di Godzilla – si conferma un fanatico vero della saga ideata da George Lucas ed opera con una cura maniacale del dettaglio, andando a sopperire a mancanze sostanziali come personaggi assenti durante le riprese, per diversi motivi, ricostruiti in CGI e dei quali non basta la notevole attenzione da “addetti ai lavori” per riscontrarne la mancanza di genuinità; oppure andando a riprendere e ricostruire stretto tra le aspettative di un pubblico storicamente molto esigente e integralista fino al midollo e la differenza di mezzi tecnici ed espressivi, che intercorrono tra Episodio III – La vendetta dei Sith (2005) ed Episodio IV – Una nuova speranza (1977), tra i quali va di fatto ad inserirsi secondo la logica temporale. Sì, perché le vicende narrate in Rogue One s’inseriscono appena prima dell’Episodio IV, anzi il plot narrativo da cui è partita la stesura del soggetto è proprio un estratto dal famosissimo opening crawl da cui tutto questo intramontabile fantasy ambientato nello spazio è partito, e cinque anni dopo la serie televisiva animata Star Wars Rebels (2014), prodotta da Lucasfilm e Lucasfilm Animation, a sua volta ambientata quattordici anni dopo l’Episodio III – La vendetta dei Sith.

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Nel corso della serie animata l’Impero Galattico allarga il proprio dominio sulla galassia, dando contemporaneamente la caccia agli ultimi cavalieri jedi rimasti, mentre una nascente ribellione contro l’Impero sta prendendo forma. Lo stile visivo di Star Wars Rebels è fortemente ispirato al concept art della trilogia originale di Guerre stellari (così lo chiamavano tutti allora) ad opera del premio Oscar® Ralph McQuarrie [E.T. e Cocoon] e non poteva che essere altrimenti per Rogue One. Troppo riduttivo chiamarlo spin-off.

«Le stelle più forti hanno un cuore di kyber»

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SINOSSI:

Lo scienziato Galen Erso [Mads Mikkelsen, Valhalla rising, Doctor Strange], dopo aver lavorato per anni per l’Impero Galattico, si è ritirato sul pianeta Lah’mu per vivere in serenità con la sua famiglia. Raggiunto dal Direttore Imperiale Krennic [Ben Mendelsohn], Erso viene catturato e costretto a completare la progettazione della Morte Nera, una stazione spaziale capace di distruggere con facilità un intero pianeta in pochi minuti. La figlia Jyn riesce a fuggire e a mettersi in salvo.

Quindici anni dopo, Jyn Erso [Felicity Jones, La teoria del tutto] è in una prigione imperiale e l’ufficiale ribelle Cassian Andor [Diego Luna, Il libro della vita], accompagnato dal fedele droide K-2SO [Alan Tudyk], ha ricevuto ordine dai ribelli di liberarla per rintracciare Galen ed impedirgli di completare l’arma. Nel frattempo lo scienziato ha inviato un messaggio di fondamentale importanza per le sorti della guerra che verrà e, in gran segreto, ha operato al fine di sabotare la Morte Nera. Sottrarne i piani di progettazione è l’unica soluzione, ma chi sarà tanto pazzo?

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«Non sono ottimista sulle probabilità»

Storia di società matriarcali contro società patriarcali, scontro generazionale per antonomasia, le Guerre stellari di Lucas continuano a separare Yin e Yang e i padri dai figli per ricongiungerli amaramente in abbracci negati. Ma vi è una storia parallela, di amicizia tra uomo e donna, forse un amore in forma embrionale, fatto sta che questa amicizia è suggellata da un abbraccio che rimarrà stampato indelebile nei ricordi dello spettatore proprio per il supremo valore che questo semplice gesto d’affetto può rappresentare. Abbracciandoci entriamo in contatto con la porzione vitale del corpo, adoperando un linguaggio che, senza parole, sa comunicare una gamma di sentimenti ed emozioni superiori a quelle di un bacio, anche il più sentito. Recenti studi scientifici sostengono che abbracciarsi crei addirittura una sincronizzazione cerebrale, anche tra estranei, un’armonizzazione che genera energie positive, paragonabile all’essenza stessa della Forza, in fondo. Ebbene, in quel gesto puro i cuori di due dei personaggi di Rogue One sembrano toccarsi, il loro respiro si sincronizza, il calore umano diviene quasi tangibile anche per il pubblico in sala. Tutto Star Wars è racchiuso in quei pochi secondi in cui niente si è detto ma tutto risulta chiaro, in cui non importa se si deve in fretta prepararsi a morire, perché non ci sono rimpianti ad immolarsi per il bene della propria patria e dei propri compagni d’avventura e, soprattutto, la morte non fa paura se la si può affrontare stretti nell’abbraccio di un vero amico.

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È qualcosa che fa dimenticare anche che non c’è che una spada laser in tutto il film, e nemmeno un cavaliere jedi, anche se è magnifica la scelta di far vedere come la Forza operi nel cuore di chi ha una salda volontà di fare del bene, un esempio per tutti il cieco Chirrut Îmwe [Donnie Yen, Ip Man] che, emulando Zatoichi, rievoca uno dei riferimenti principali di Lucas: l’affascinante cultura legata alla casta guerriera dei samurai. Il successo di Rogue One è tutto nella scrittura e nel suo fornire importanza estrema ai gregari e al sentimento di speranza che pervade l’intera opera e si riannoda a quel 1977 quando qualcosa stava per accadere in una galassia lontana lontana.

«Le ribellioni si fondano sulla speranza»

Quell’abbraccio rappresenta la speranza che ci sarà sempre un sentimento positivo tanto potente da saper contrastare ogni possibile perversità del lato oscuro della Forza. Inoltre, è l’abbraccio ideale dello spettatore e del fan-regista ai personaggi che tanto hanno generato partecipazione a livello empatico, come non capitava da tempo.

«Resto in disparte anche se c’è un problema all’orizzonte: non c’è orizzonte!»

Altro elemento immancabile e, in Rogue One, davvero ben orchestrato è il lato comico, affidato, come consuetudine, soprattutto al droide K2-SO, doppiato da Alan Tudyk, caratterista e doppiatore di successo [Io, robot, Big Hero 6, Frozen]. Un robot ben poco rassicurante per la sua matematica inclinazione al pensiero negativo come il Marvin di Guida galattica per autostoppisti ma che richiama l’automa di Laputa – Castello nel cielo di Hayao Miyazaki nella fisionomia e in una straordinaria dimostrazione d’affetto per l’«imprevedibile» Jyn.

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«Tra noi c’è chi ha deciso di cambiare le cose»

Terzo lungometraggio del franchise, il primo dopo Episodio III, ad essere girato direttamente in digitale con camere Arri Alexa 65, equipaggiate con lenti Ultra Panavision 70, Rogue One si distingue dagli altri film della serie anche per la colonna sonora, affidata per la prima volta non a John Williams, ma ad un altro premio Oscar®, Michael Giacchino [Up, Zootropolis, Doctor Strange, Inside out], che crea una nuova partitura che commenta senza predominare e rubare la scena senza però dimenticarsi di citare i brani tradizionali con delle reprise ad hoc.

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E ora? Aspetteremo con ansia l’uscita di Rogue One in DVD e BluRay e poi sarà la volta di Episodio VIII e Episodio IX, che sono stati annunciati per il 2017 e 2019 e saranno diretti rispettivamente da Rian Johnson molto apprezzato dalla critica per i suoi precedenti Brick – Dose mortale, The brothers Bloom e Looper, e Colin Trevorrow, conosciuto per aver diretto film di grande successo come Safety not guaranteed e il kolossal Jurassic World.

Inoltre, come già accaduto per DC, Marvel e lo Universal Monsters Universe, è stata annunciata la produzione di una serie di spin-off, chiamati Star Wars Anthology, programmati in modo da avere dal 2015 al 2020 un film della saga ogni anno. Quello del 2018 dovrebbe avere come protagonista Han Solo, quello del 2020 ancora è segreto. Il primo dei tre spin-off, diretto da Gareth Edwards è un capolavoro. Ora, con il beneplacito della Forza provate a fare di meglio!

«Non sono ottimista sulle probabilità»

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Rock the Kasbah, di Barry Levinson in DVD

Rock the Kasbah, di Barry Levinson, è una commedia dai toni leggeri, politically correct, forse anche troppo, che si regge su un Bill Murray particolarmente in vena.

«Il tuo lavoro è dire cazzate!».

Richie Lanz [Bill Murray], talent scout squattrinato e truffatore senza scrupoli per necessità economiche, tenta un improbabile tour in Afghanistan per le truppe americane con la sua ultima speranza, la ormai non più giovane promessa, mai mantenuta, Ronnie, interpretata da Zooey Deschanel [Sua maestà, Guida galattica per autostoppisti]. Abbandonato dalla ragazza, senza soldi e passaporto, a pochissime ore dall’arrivo a Kabul, Richie dovrà trovare un modo per andarsene prima di rimetterci la pelle oppure trovare una ragione per restare e magari rischiare la vita per cambiare il mondo. L’occasione si presenta per una serie di bizzarre coincidenze: Salima [Leem Lubany], figlia del capo di un villaggio pashtun, ha una stupenda voce ed il suo sogno è poter partecipare ad “Afghan Star”, un talent show per cantanti simile ad “American Idol”. Aiutarla significherebbe sfidare apertamente l’intransigente cultura locale ed il rischio va ben oltre la sfera economica e il «sacro rapporto manager-cantante»!

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«Dal momento in cui mi hai sentito cantare e mi hai trovata in quella grotta, da quando siamo qui su questa Terra, tutta la nostra esistenza ci ha condotti a questo tempo in questo posto! Richie Lanz, la nostra storia è già stata scritta! E ora dobbiamo fare la nostra parte. Dobbiamo! Non c’è altra scelta! È Dio che lo vuole».

Ad aiutare Richie o a sfruttare la sua situazione a proprio vantaggio la bellissima prostituta Merci [Kate Hudson], il mercenario Bombay Brian [Bruce Willis], il tassista-interprete Riza [Arian Moayed] e due spassosi trafficanti d’armi, Jake e Nick, interpretati rispettivamente da Scott Caan [figlio di James Caan e membro fisso del team di Danny Ocean fin da Ocean’s eleven] e Danny McBride [protagonista di commedie come Sua maestà, Strafumati, Facciamola finita].

IL DVD

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REGIA: Barry Levinson INTERPRETI: Bill Murray, Kate Hudson, Zooey Deschanel, Leem Lubany, Danny McBride, Scott Caan, Kelly Lynch, Bruce Willis TITOLO ORIGINALE: Rock the kasbah GENERE: commedia DURATA: 103′ ORIGINE: USA, 2015 LINGUE: Italiano 5.1 DTS, Italiano 5.1 Dolby Digital, Inglese 5.1 Dolby Digital SOTTOTITOLI: Italiano EXTRA: clip “L’uomo e la musica”; trailer; credits DISTRIBUZIONE: Koch Media

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Liberamente ispirato alla vera storia di Setara Hussainzada, la prima donna a competere nel popolare programma trasmesso dalla TV nazionale afghana, andando contro gli antiquati precetti della cultura islamica fondamentalista, Rock the Kasbah, di Barry Levinson, è risultato uno dei peggiori flop del 2015. Probabilmente perché manca d’intensità emotiva e di coraggio, quando deve calcare la mano sul messaggio che il film, giocoforza, veicola, e perché non risulta frizzante dal punto di vista tecnico: la sceneggiatura, un po’ sempliciotta, di Mitch Glazer [che ritrova Bill Murray dal 1998 di S.O.S. Fantasmi, ma non la verve] non lascia spazio a chissà quali sorprese; la fotografia del pluripremiato Sean Bobbitt, che ha reso visivamente spettacolari i capolavori 12 anni schiavo, Shame e Hunger di Steve McQueen, eseguita in Afghanistan e Marocco, con una ARRI Alexa XT Plus, viene sprecata da un montaggio poco dinamico, che non procede di pari passo con l’effervescenza degli attori e delle situazioni filmiche, infarcite peraltro di battute metamusicali: «It’s only rock’n’roll!» mentre manager e cantante sono sull’aereo o il «Welcome to the jungle!» che i due trafficanti danno a Richie dopo essere scampati ad una sparatoria.

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Ineccepibile tutto il cast artistico che vede le attrici Zooey Deschanel e Leem Lubany sfoggiare davvero le loro doti canore per l’occasione: mentre l’attrice americana canta Bitch, successo di Meredith Brooks, la protagonista si esibisce ad “Afghan Star” cantando alcuni brani, Wild world, Trouble e Peace train, di Yusuf Islam, famoso per tanto tempo con il nome d’arte Cat Stevens. Una scelta azzeccatissima per una donna dalla testa dura, Hard headed woman, come direbbe il cantautore britannico convertitosi all’Islam.

Anche Bill Murray ci regala due performance canore: una classica, Can’t find my way home dei Blind Faith, sotto la doccia, e un’altra da applausi a scena aperta, quantomeno per la faccia tosta, che nella sua lunga carriera non ha mai perso e che gli ha permesso di imbracciare un rabab, strumento musicale afghano simile al liuto, accennando la melodia di Smoke on the water dei Deep purple, agitandosi e gracchiando in mezzo ai pashtun. Questa esibizione e la magnifica presenza scenica di Kate Hudson valgono alla grande il prezzo del biglietto, e del DVD o Blu Ray!

«Che ci fa uno splendore come te con un fesso come me?».

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Il titolo del film è un riferimento all’omonima canzone del gruppo punk The Clash, che racconta una sorta di fiaba riguardo un re che vieta la musica rock, tanto da meritarsi la rivolta della popolazione. Il gruppo la scrisse influenzato dal divieto in Iran, nel 1979, di proporre al pubblico musica occidentale. Peccato che, però, Joe Strummer abbia negato ai realizzatori i diritti di utilizzarla nella colonna sonora, forse condizionato da un episodio altamente sgradevole del 1991: sul lato di una bomba americana fatta esplodere in Iraq era stato scritto proprio Rock the Kasbah.

Sarebbe stato bello un approfondimento sulla colonna sonora e sulla storia vera di Setara Hussainzada. Invece, i contenuti extra del DVD Koch Media non brillano per originalità e nemmeno per quantità: con gli “immancabili” credits e un trailer, troviamo una divertente clip, intitolata “L’uomo e la musica”, in cui si ricostruisce una falsa biografia del manager Richie Lanz, che vanta di aver scoperto Madonna [e la nomina proprio in Afghanistan!], tramite fotomontaggi e false dichiarazioni di illustri cantanti d’altri tempi, mescolate con qualche scena tratta dal film.

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Tutte le notizie su Truth: Il prezzo della verità

È basato su uno dei più controversi casi della storia americana, Truth: Il prezzo della verità, il film d’esordio alla regia di James Vanderbilt, sceneggiatore e produttore, capace di alternare capolavori assoluti e coinvolgenti come Zodiac a blockbusters caciaroni ma di poco spessore come White house down o la nuova saga di Amazing Spider-man, per non parlare di horror flop come Al calar delle tenebre.

La mattina del 9 settembre 2004 la produttrice della CBS News Mary Mapes [Cate Blanchett] aveva tutte le ragioni per essere orgogliosa del suo servizio giornalistico. Ma alla fine di quella giornata, non solo lei, ma anche la CBS News e il famoso conduttore di “60 Minutes”, Dan Rather [Robert Redford], furono messi al centro di una bufera. Questo perché la sera precedente avevano trasmesso un reportage investigativo secondo il quale il Presidente George W. Bush aveva trascurato il suo dovere nel periodo in cui prestava servizio come pilota nella Guardia Nazionale dell’Aeronautica del Texas, dal 1968 al 1974, e che addirittura potesse avere dei legami comprovati con il movimento di Al-Qaeda. Una notizia basata su dei documenti che si sospettò fossero stati falsificati. In pochi giorni dallo scandalo, i registri del servizio militare di Bush smisero di essere al centro dell’attenzione dei media e del pubblico che, da quel momento in poi, puntarono il dito contro la trasmissione, la giornalista e il conduttore, rovinando carriere, reputazioni e vite private.

Truth: Il prezzo della verità è tratto dal memoriale scritto dalla stessa Mary Mapes e intitolato proprio “Truth and Duty: The Press, the President, and the Privilege of Power”, pubblicato da St. Martin’s Press solo nel 2015.

Un cast che, oltre al Premio Oscar® Robert Redford e alla due volte Premio Oscar® Cate Blanchett, può vantare anche la presenza di un altro grande interprete che ha raccolto finora troppo poco dalla sua carriera, Dennis Quaid.

Girato totalmente in Australia, per venire incontro alle esigenze della protagonista, con la ARRI Alexa e in formato widescreen con l’aspect ratio da 2,35 : 1. Spettacolare, nonostante la tematica drammatico-biografica.

Ecco il TRAILER italiano:

La quinta onda, di J Blakeson

Chi ha pianto dando l’ultimo saluto a Katniss dopo Hunger Games: Il canto della rivolta – Parte II, gli orfani ormai di vecchia data delle relazioni intrecciate al sovrannaturale della saga di Twilight e chi attende trepidante l’ultimo capitolo di Divergent, Maze Runner e lo spin off di Harry Potter Animali fantastici e dove trovarli sappia che ha una nuova eroina da amare e seguire: la protagonista della nuovissima saga YA fiction è la misteriosa e cazzuta Cassie, diminutivo di Cassiopea Sullivan, un nome che preannuncia qualcosa agli spettatori più scafati, se si aggiunge che deriva dalla costellazione che campeggia nella volta celeste visibile da entrambi gli emisferi. Non aggiungerò altro di materia storico-fantascientifica per non rovinare questa e le successive visioni, nonché la lettura dell’ultimo romanzo della trilogia, ancora inedito. Spero, peraltro, di non aver ragione perché, non avendo il sottoscritto doti di chiaroveggenza, vorrebbe dire che la storia è tremendamente scontata.

Tornando a concentrarci sul presente, La quinta onda è il titolo del primo capitolo della trilogia di Rick Yancey trasposta su grande schermo da J Blakeson (La scomparsa di Alice Creed) per Columbia Pictures. L’incipit del film è in media res, tutto giocato di dettaglio, in modo da proiettare subito il pubblico nel cuore delle vicende e, viceversa, far entrare nel cuore dello spettatore la protagonista sedicenne Cassie, che sta cercando di sopravvivere ad un’invasione aliena che l’ha separata dalla sua famiglia. Dai suoi ricordi, in forma di diario, si apprende che l’attacco è avvenuto in diversi momenti: una prima onda, un black-out totale che ha ottenebrato ogni tecnologia, una seconda, un terremoto che ha devastato la Terra, seguito da un’epidemia di influenza aviaria, la terza onda, che ha decimato la popolazione in modo da creare i presupposti per la quarta, quando, infine, gli alieni, denominati “gli Altri”, si sono mostrati in tutta la loro subdola natura, determinati ad usare ogni mezzo per ottenere una facile colonizzazione del pianeta attraverso la misteriosa quinta onda. È davvero questo il destino dell’Umanità: soccombere annientata da alieni antropomorfi che si mescolano alla popolazione da tempo immemore? Quali altri scioccanti avvenimenti dovrà vivere la sfortunata Cassie? Cosa può fare un’adolescente da sola contro un intero esercito così efficacemente organizzato? Cosa ne sarà della sua umanità dal momento che è costretta a diventare cinica e spietata per sopravvivere in un mondo dove i nemici hanno le sembianze degli amici e in cui «nessun luogo è sicuro, ormai»?

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Cassie è la bellissima e molto espressiva Chloë Grace Moretz, la favorita dei fan del romanzo e, probabilmente per questo, unica attrice esaminata per il ruolo. La sua convincente interpretazione ripaga la fiducia dei produttori e del pubblico, e non ci si poteva aspettare nulla di meno dalla bambina prodigio ammirata negli horror remake Amityville horror, The eye e Blood story e diretta da mostri sacri come Martin Scorsese (Hugo Cabret) e Tim Burton (Dark shadows). La Hit-Girl di Kick-Ass e Kick-Ass 2 stavolta è un’adolescente che deve vivere un’avventura fuori da ogni previsione, convivere con le sue due anime di benevolo essere umano e di guerriera improvvisata, rappresentate visivamente dai suoi due compagni di viaggio, un fucile a ripetizione ed il peluche preferito del fratellino Sam, prigioniero degli Altri,  e sopravvivere ad ogni pericolo che si frappone tra lei e la salvezza di Sam.

I riferimenti a gloriose pellicole ormai divenute cult per ogni esperto cinefilo sono tanti: la scoperta delle astronavi e delle prime anomalie avviene mentre Cassie si trova a scuola, impegnata prima a lezione e poi nell’allenamento di calcio della squadra locale, vicende che ricordano quelle dei protagonisti di Alba rossa e del suo remake Red dawn, dove i Wolverines ricordano gli odierni Panthers con tanto di motti che mettono in risalto “onore” e “integrità”; le astronavi che aleggiano sulle principali città come Independence day, che avrà un seguito previsto per giugno 2016; la banale influenza, che crea un’ecatombe, e l’esigua presenza di immuni, che diventano l’obiettivo della contesa tra forze del Bene e forze del Male ricordano The stand – L’ombra dello scorpione; per concludere con un recente The host o la serie originale de I Visitors che presentano non poche assonanze anche per quanto riguarda la trama, mai però quanto Ultracorpi: l’invasione continua di Abel Ferrara, seguito de L’invasione degli ultracorpi.

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La quinta onda è un ormai classico pastiche postmoderno che mescola ingredienti collaudati, presi da vari generi, con una struttura in linea con gli standard del momento e una fotografia spettacolare garantita dall’utilizzo della ARRI® Alexa e delle lenti anamorfiche Panavision® G-series.

Probabilmente la stragrande maggioranza del pubblico si appassionerà, quasi senza rendersene conto, a personaggi e vicende che fanno parte in qualche modo del patrimonio genetico di chi ama il genere sci-fi ma, contemporaneamente, restarà con il fiato sospeso per intrecci amorosi simili a quelli che hanno fatto la fortuna della saga di Twilight. Un prodotto cinematografico che può mettere d’accordo un po’ tutti, se non si è in vena di scegliere drasticamente un genere.

Non mancano riferimenti verbali e correlazioni tra l’invasione aliena del film e la colonizzazione del Nuovo Continente a scapito dei nativi americani. Segno di un’autocritica ormai sdoganata o di una captatio benevolentiae per il pubblico d’oltreoceano? L’operazione commerciale c’è e si vede ma la speranza è che tra tanto cinismo ci sia ancora spazio per messaggi positivi divulgati attraverso operazioni di marketing e non viceversa. Gli Altri considerano l’amore un inganno e la speranza un’illusione che genera debolezza. Anche il cinema, in fondo, è illusione, inganno. E quello che lo spettatore chiede al cinema, sottoscrivendo il solito patto di sospensione dell’incredulità, è di non essere mai tradito nei sentimenti: Hitchcock giustamente affermava che bisogna riempire sia lo schermo sia i posti in sala, ma non dimenticando che va fatto con originalità e stile, qualità che a questo primo capitolo di saga, purtroppo, mancano. Speriamo che gli attesi sequel Il mare infinito e L’ultima stella riportino terrestri e alieni a percorrere sentieri meno battuti e che l’aver scomodato il mito di Cassiopea funga da volano per delle svolte interessanti e… imprevedibili.

«Che cosa gli serve?»
«Gli serve la Terra, ma non noi!»

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