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Bulbbul, di Anvita Dutt

Sposa bambina a soli cinque anni di un uomo che potrebbe essere suo padre, Bulbbul va incontro al suo destino con coraggio, senza alcuna idea di chi sarà suo marito e di quella che sarà la sua vita dopo il matrimonio. Inconsapevole, innocente, e agghindata come una piccola dea, viene consegnata al ricco Indranil, ma ad attenderla trova suo fratello Mahendra, mentalmente instabile e fatalmente affascinato da Bulbbul, e il più giovane Satya, suo coetaneo, con cui nasce subito una grande amicizia. Il loro rapporto si fortifica con il passare degli anni e, quando i ragazzi diventano adolescenti, si trasforma in amore. Per la sua passione Bulbbul viene picchiata a morte, torturata e spezzata fisicamente e psicologicamente dagli uomini della sua nuova famiglia, mentre Satya viene mandato a studiare in Inghilterra. Al suo ritorno, alcuni anni dopo, trova una Bulbbul trasformata, forte, sfacciata e padrona assoluta del palazzo e della sua vita, ma soprattutto trova un villaggio terrorizzato dalla presenza inquietante di una strega, che di notte si aggira nei boschi circostanti e uccide senza pietà tutti gli uomini che si parano sul suo cammino.

L’orrore dei brutali omicidi della strega bilancia l’orrore della violenza inflitta sulle donne di questa comunità bengalese, accolta da tutti, nel 1880, come una triste normalità di ossa spezzate, ematomi e stupri a cui le famiglie assistono conniventi, sporcandosi del sangue delle loro mogli, figlie e sorelle, non più della strega del bosco. Bulbbul raccoglie le confessioni delle donne del viaggio e si oppone con forza alla violenza che lei stessa ha subito, trovando un alleato nel dottor Sudip, che ha curato le sue ferite più profonde e continua a difenderla, a costo di mettere a repentaglio la sua stessa vita. Il suo comportamento però suscita molti sospetti in Satya che, ritenendolo colpevole degli omicidi, inizia una vera e propria “caccia alle streghe” per smascherare il responsabile e fare giustizia.

Ma chi può definire la giustizia e chi è degno di compierla in questa realtà grondante di sangue? La regista Anvita Dutt si muove proprio in questa ambiguità, sul filo sottile che separa giusto e sbagliato, vita e morte, portando l’orrore a un livello successivo, più rilevante dal punto di vista sociale che strettamente cinematografico, facendo di Bulbbul un horror squisitamente femminista. Le figure femminili disegnate dalla Dutt non sono relegate al ruolo di screaming queens ma dominano la scena, prima tra tutte Bulbbul, lasciando ai personaggi maschili non solo ruoli di contorno, ma anche estremamente negativi, in balia come sono delle passioni più torbide e completamente incapaci di avvicinarsi al mondo femminile senza esercitare il potere e la violenza che la società ha concesso loro.

Qui che entra in campo la strega, testimone onnipresente dei torti subiti dalle sue sorelle, forse anche da lei stessa, e spietata mano vendicatrice, elevata a dea protettrice delle donne, che si insinua nelle case e tra i boschi come un fuoco dirompente. Ed è proprio nel fuoco della vendetta che Anvita Dutt imprime la sua firma, portando sugli schermi un horror anticonvenzionale, soprattutto per l’ambientazione, che sa compensare alle mancanze tecniche con una potenza evocativa senza precedenti e che accende l’interesse verso un mondo lontano nel tempo e nello spazio, ma sempre tristemente attuale.