C215

Mea Culpa di Christian Guémy (C215)

I colori graffianti e sanguigni dei suoi dipinti si impongono con tutto il loro vigore anche allo sguardo dello spettatore più disattento e accendono di vita le periferie delle città di tutto il mondo. Così ritratti accesi dell’artista francese Christian Guémy, o meglio C215, prendono corpo nelle periferie delle città e nei vicoli, seguendo e segnando i suoi stessi passi. “Non scelgo i luoghi in cui dipingo, dipingo nel luogo in cui mi trovo. Se lo scegliessi, sarebbe pubblicità, invece la mia unica intenzione è lasciare un segno, un marchio. Le strade sono la mia galleria e la gente comune è il soggetto che prediligo”, afferma Guémy durante il vernisssage di Mea Culpa, la sua personale, che si è tenuta presso la galleria Wunderkammern a Roma. Porte, palloni, cassette postali, muri scalcinati e vetrate sono le sue tele predilette e i soggetti rappresentati non sono riconoscibili, se non nel passante che ci passa accanto o nel barbone accasciato al lato della strada. Lo spazio espositivo della galleria non basta a contenere l’estro di Guémy, che sconfina nelle strade circostanti, e lascia con i suoi ritratti un segno imperituro del suo passaggio nella capitale. “Queste strade, questo quartiere in periferia, per me è l’ideale. Non ci sarebbe stato spazio migliore per esporre le mie opere. Qui c’è la gente comune, la gente vera.”

La gente comune, gli ultimi, sono anche i soggetti più celebrati dal genio di Caravaggio e i suoi personaggi sono corposi ed espressivi come quelli di Guémy. A lui l’artista ha voluto rendere omaggio, dedicandogli una parte notevole dell’esposizione. Dall’imponente dipinto a parete intera che raffigura Davide mentre strappa la testa a Golia, e che si impone violentemente all’attenzione dello spettatore per le dimensioni grandiose e i colori purpurei, a Bacco che, serafico, fa capolino da una cassetta postale, fino ad arrivare a Giuditta, che dopo aver mozzato la testa di Oloferne, la esibisce con il suo sguardo fiero. I dipinti di Caravaggio, riprodotti con la tecnica dello stencil su superfici diverse, dal metallo, al legno, all’intonaco, trasudano sangue e forza. I tratti scuri che delineano le figure si stagliano sugli sfondi accesi, facendo letteralmente vibrare il colore nell’alternanza netta tra luce e ombra. “Ho iniziato a studiare Caravaggio durante il dottorato – afferma Guémy – e mi ha subito attratto per il suo modo teatrale di usare la luce. Ciò che voglio riprodurre nella mia arte è proprio la sua luce, e il modo in cui la usa per illuminare alcune figure e metterne in ombra altre. È indubbiamente un personaggio affascinante e poi non si può negare che abbia una faccia simpatica”.

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Passando attraverso gli spazi aperti e ariosi e i cunicoli angusti della galleria, Caravaggio incontra inevitabilmente i ritratti degli uomini e delle donne comuni, rugosi e increspati come il legno, o eterei e trasparenti come il vetro colorato su cui sono raffigurati. Nati da nodi e intrecci di linee, volgono il loro sguardo allo spettatore, lo scrutano e lo interrogano insistentemente su quelle che sono le sue colpe. Dalla scritta maestosa “Mea Maxima Culpa”, che apre il percorso dell’esposizione, la raffigurazione dell’uomo comune è affiancata a quella delle icone religiose e dei personaggi storici, invitando lo spettatore ad intraprendere un percorso di riflessione sulla colpa, nella storia passata così come nella vita presente, e ad assumersi le sue responsabilità verso gli ultimi, verso chi sta al margine della società e della città, proprio come i ritratti di Guémy.

La mostra si è tenuta presso la Galleria WunderKammern a Roma
dal 23 al 24 marzo 2013