Chris Pine

Wonder Woman, di Patty Jenkins

Impastata nell’argilla e nei buoni sentimenti da sua madre Hippolyta, Diana è vissuta per tutta la vita su un’isola segreta, che Zeus in persona le ha donato per proteggere il suo popolo da Ares, il dio della guerra. L’isola di Themyscira è un paradiso terrestre incastonato tra le montagne e isolato dal mondo, ma anche il quartier generale delle amazzoni, il luogo in cui da secoli vivono indisturbate, preparandosi duramente al momento in cui si troveranno di nuovo faccia a faccia con Ares. Armate di archi, frecce e spade affilate, le amazzoni dedicano tutto il proprio tempo al combattimento, tenendo a debita distanza passioni squisitamente umane come l’amore. Un giorno però una spia inglese naufraga sulla loro spiaggia dorata mettendo a dura prova il sistema di valori a cui si sono attenute per secoli.

Wonder-Woman-Trailer-2-Queen-Hippolyta-and-Diana

L’infiltrato è l’affascinante Capitano Steve Trevor, che Diana, moderna Nausicaa, salva dall’annegamanto e porta al cospetto di sua madre Hippolyta e delle sue amazzoni. Steve è un alieno in un mondo mitico in cui il tempo si è fermato alle guerre tra gli dei, ma anche il prezioso testimone di ciò che sta accadendo nel presente, delle guerre che continuano a devastare il mondo, e dell’odio che non ha mai abbandonato gli uomini. Diana è incredibilmente affascinata dallo straniero e dai suoi racconti, al punto che decide di abbandonare il paradiso per l’inferno, e di tuffarsi nel cuore della guerra per sfidare Ares e salvare il mondo.

maxresdefault
Il coraggio e il senso di giustizia sono le armi con cui Diana si prepara ad affrontare i campi di battaglia più crudeli della terra, ma anche l’arsenale più prezioso di Wonder Woman in un mondo in cui si uccide senza sapere perché, senza guardare in faccia il nemico e senza pietà. Il mondo contemporaneo ai suoi occhi è incomprensibile, e il suo punto di vista spesso appare sin troppo naive per una supereroina, ma allo stesso tempo è l’unico possibile per una ragazza che ha vissuto un’infanzia idilliaca. A differenza di molti supereroi non ha un passato burrascoso alle spalle e non cerca vendetta, tutto ciò che vuole è battersi per l’amore, il perdono e la benevolenza in un mondo complicato, contro cui si scaglia in gonnella e praticamente disarmata.

wonder-woman-sono-uscite-nuove-still-del-film-v5-291362-1280x720

Forte, gentile, risoluta e bella oltre ogni immaginazione, la Wonder Woman di Patty Jenkins, interpretata da Gal Gadot, è una donna straordinaria, che sembra, e in effetti lo è, catapultata sulla terra da un altro pianeta, ma non per questo priva dei mezzi per affrontare qualunque situazione a testa alta e uscirne vincitrice. E non soltanto nell’arte bellica, alla quale è ben addestrata, ma anche nel rapporto con i suoi compagni di avventura, che per quanto si sforzino rimangono sempre un passo dietro di lei. Diana non è una damigella in pericolo, ma una guerriera, pronta a mettere in campo il suo carisma anche con il Capitano Steve Trevor, con cui ha un’alchimia fortissima, ma allo stesso tempo un rapporto di profonda fiducia, che le permette di combattere ad armi pari anche sul campo dei sentimenti.

WW_5-30-17 (1)

Senza dubbio la lente femminile di Patty Jenkins è un punto di vista privilegiato per celebrare l’ingresso ufficiale di Wonder Woman nell’universo cinematografico DC, anche se aveva già fatto capolino in Batman VS Superman, ma che qui trova la sua compiutezza in una narrazione che dalle origini la accompagna fino ai giorni nostri. Tutta l’attenzione del film gravita attorno alla donna guerriera e alla sua visione del mondo, al punto che persino i villain di turno scompaiono al suo cospetto. E sebbene questa scelta possa sembrare anacronistica o addirittura superficiale, la missione di Patty Jenkins di presentare al mondo Wonder Woman viene portata a termine in maniera ineccepibile.

WW1

La narrazione è compatta, compiuta, opportunamente bilanciata tra la battaglia epica tra Wonder Woman e Ares e la storia d’amore con Steve Trevor, senza mai spostare lo sguardo dall’unica vera protagonista del film. L’universo che le gravita attorno è solo un espediente per raccontare chi è, da dove viene, e cosa l’ha spinta a lasciare il suo mondo perfetto per quello inospitale degli uomini. Wonder Woman di Patty Jenkins viene da un’epoca lontana, è ben piantata nei suoi valori ma desiderosa di scoprire cosa le riserva il futuro, e così è il film che la racconta, lontano anni luce dai precedenti cinecomic DC nei codici narrativi, meno frenetico e più composto nell’azione, ma sicuramente degno dell’eroina che rappresenta.

Hell or high water, di David Mackenzie

Prima di parlare di Hell or high water permettemi di fare un passo indietro per osservare il fenomeno dalla giusta distanza ed ammirare il piano d’insieme.

Pensare che il genere western sia ormai sepolto in qualche fossa senza nome con una pietra tombale anonima nell’era dei social e del “tutto subito” è legittimo. I tempi di un tirato duello giocato sui nervi, tesissimi, mentre i rivali si scrutano e al di fuori del loro animo, giusto o malvagio che sia, sembra non accada nulla, sembra non sia più gradito dalle nuove generazioni, cresciute con ricostruzioni in CGI o realtà aumentata di qualsiasi cosa, anche esistente in natura, con coreografie ben studiate che prolungano all’inverosimile scazzottate e combattimenti spesso privi di un pathos ben costruito, di un’epicità tangibile, di un background che mantenga l’interesse anche in rapporto alle fruizioni successive del prodotto cinematografico.

Eppure David Mackenzie è riuscito a confezionare un western, Hell or high water, dall’ambientazione contemporanea che mantiene vivo quell’epico scontro se vogliamo cavalleresco tra uomini di legge e banditi, riproponendo in chiave moderna il sapore della caducità del tempo e dell’anacronistica lotta manichea tra un Bene e un Male che s’intrecciano senza soluzione di continuità, lasciando il retrogusto dolceamaro di una vendetta che appare giusta e di una giustizia che risulta in fin dei conti solo vendicativa.

In Hell or high water dominano i dualismi. Lo scontro non è solo reato vs legge, outsider vs sceriffi, è cowboy in disgrazia vs burocrazia e banche. Alla coppia di fratelli, Toby [Chris Pine, il capitano Kirk del nuovo Star Trek] e Tanner [Ben Foster, L’ultima tempesta, Warcraft] Howard, rapinatori di banche, si contrappone in chiasmo la coppia sceriffo-vice, in cui uno è la mente e l’altro il braccio, uno ragiona da outsider e l’altro medita nell’ombra, tentando un’emulazione dell’altro che non può e forse non deve riuscire, perché ognuno ha un destino scritto nel carattere, che lo voglia o no, e che si affanni o no a cambiar traiettoria.

ShakeMoviesStandard09

Hell or high water è un film che ha alla base una bellissima storia di amore fraterno, virilmente commovente, messa in scena con maestria, senza esasperazioni recitative, perché è in grado di comunicare visivamente e verbalmente tutto l’amore che c’è ben nascosto dietro un vaffanculo detto con il cuore.

«Ti voglio bene, Toby! Sul serio»
«Anch’io»
«Ehi, Toby! Vaffanculo!»
«Vaffanculo tu!»

Sebbene i protagonisti effettivi siano i fratelli Howard, a riempire lo schermo e le orecchie, candidandosi a gran voce per il premio Oscar® 2017, è il Texas Ranger Marcus Hamilton, interpretato dal già premio Oscar® come protagonista per Crazy heart nel 2010, Jeff Bridges. Il ranger di Bridges è un personaggio dal carattere scomodo sotto ogni aspetto, per sé ma soprattutto per chi gli sta intorno, ammesso che qualcuno voglia star nei suoi paraggi: un vedovo rancoroso verso la vita in generale, un cane rabbioso che sa indagare quasi quanto ringhiare le sue intolleranze da texano DOC all’infinito, che non molla la caccia all’uomo e in una battaglia personale anche contro il tempo che lo vuole in pensione contro la sua ferma volontà narcisista di rimanere in compagnia di «qualcuno meno in gamba da umiliare».

ShakeMoviesStandard03

Hell or high water è inoltre candidato come miglior film, miglior sceneggiatura originale [Taylor Sheridan, Sicario] e miglior montaggio [Jake Roberts, Brooklyn]. Manca invece la nomination per la colonna sonora di Nick Cave e Warren Ellis, che paga dazio nello scontro impari con la concorrenza di questo 2017, La La Land su tutti. Nel quintetto in lizza per l’ambita statuetta, è Passengers che ha soffiato ingiustamente il posto ad una serie di canzoni di straordinaria orecchiabilità e significato narrativo, che rappresentano la ciliegina sulla torta, o meglio le amarene, perché ben si innestano in un tessuto narrativo da western revival decadente, raccontando, con le note ancora prima che con la fotografia seppur incantevole, storie che, in altre epoche, sarebbero state tramandate sottoforma di leggende popolari. Il trionfo di Hell or high water come miglior film significherebbe non un ritorno in auge del passato, ma la possibilità che il futuro abbia sempre storie da raccontare per ogni genere, evolvendosi secondo le necessità formali contemporanee in un prodotto che sappia riempire schermo e sedili.

ShakeMoviesStandard07

Una menzione speciale, infine, è d’obbligo per la scafata cameriera-“vipera” [la caratterista Margaret Bowman, Non è un paese per vecchi] di un ristorante monopietanza stile T-bone, un personaggio che è già cult, l’unico che zittisca il ranger Hamilton.

«Ho caldo e non ho voglia di lavorare! Allora, che cos’è che non volete? … Lavoro in questo ristorante da cinquant’anni e nessun cliente ha mai ordinato altro che una bistecca con patate al forno! A eccezione di uno stronzo di New York che voleva una trota nel 1987. Non serviamo nessuna dannata trota! Soltanto bistecche! Quindi i casi sono due: o non volete il contorno di mais o non volete il contorno di fagiolini. Che cos’è che non volete?».

ShakeMoviesStandard06

Star Trek Beyond, di Justin Li

“Spazio, ultima frontiera. Questi sono i viaggi dell’astronave Enterprise. Diretta all’esplorazione di nuovi mondi. Alla ricerca di altre forma di vita e di civiltà. Fino ad arrivare dove nessun uomo è mai giunto prima”.

In Star Trek Beyond la USS Enterprise e il suo intrepido equipaggio composto dal capitano Kirk (Chris Pine), Uhura (Zoe Saldana), l’ingegnere Montgomery Scott (Simon Pegg, nel ruolo anche di co-sceneggiatore), dal dottor Bones (Karl Urban), da Chekov (Anton Yelchin) e dall’immancabile Spock (Zachary Quinto) sta per concludere il più lungo viaggio esplorativo mai compiuto fino a quel momento: cinque anni lontano da casa e dagli affetti più cari rendono anche lo stoico capitano Kirk incerto sul futuro della sua missione. Improvvisamente un imprevisto contatto con una nave sconosciuta e rimasta naufraga nello spazio costringerà l’equipaggio della Enterprise non solo a misurarsi con una minaccia di proporzioni letali, ma, soprattutto, con la solitudine e la divisione. L’equipaggio sarà smembrato e in questa condizione ancora più forte sembra essere l’eco di una riflessione sul significato della propria missione nello spazio, legata strettamente alla ricorrenza del cinquantesimo anniversario della saga che ricorre proprio in questo nostro 2016.

«È il cinquantesimo anniversario – spiega il regista Justin LI – e mi sembrava fosse importante decostruire l’idea stessa di Star Trek, l’idea della Federazione e il motivo per cui è così importante. Affronteremo diversi aspetti».

Star Trek Beyond
Dopo le controversie legate a Into Darkness e al suo trattamento del mitico personaggio di Khan, il franchise fa un passo indietro alla ricerca dello spirito autentico della saga creata da Gene Roddenberry. Star Trek Beyond è forse l’episodio più spettacolare di sempre: grazie ad inseguimenti mozzafiato (e non si può non chiamare in causa la storia di Toretto e Brian O’ Conner che Justin Li ha diretto in quattro capitoli della saga di Fast & Furious) nel bel mezzo di una splendida e futuristica città di vetro, e soprattutto un paio di combattimenti spaziali (tra cui uno sulle note di una musica classica inedita) furiosi e distruttivi come non mai.
Nonostante i personaggi della saga, anzi della saga reboot, siano ormai talmente ben caratterizzati (e questo è ovviamente merito di Roddenberry, ma anche di Abrams) che non rischiano di essere (s)travolti da queste derive più action, il peso che a ognuno di loro viene dato nell’economia della storia è altamente variabile e poco bilanciato, con alcuni personalità più approfondite di altre che non riescono a svilupparsi compiutamente nel corso della narrazione. In particolare la performance di Chris Pine nei panni di James T. Kirk continua ancora a stupire per l’incredibile somiglianza (più spirituale che fisica) con quello indimenticabile di William Shatner, ma anche per la versatilità con cui è in grado di passare dalla figura malinconica e solitaria del Capitano “perso nello spazio” a quello coraggioso e scavezzacollo che non ha paura di affrontare alieni letali e pianeti sconosciuti in sella ad una moto d’epoca. A differenza di quello che si potrebbe immaginare, però, a rubare la scena c’è soprattutto l’inedita coppia Spock/Bones e i loro continui battibecchi causati da una convivenza forzata che divertono e convincono tanto da oscurare, molto spesso, quasi tutti gli altri colleghi: poco lo spazio per Uhura, per Sulu (nonostante il tanto chiacchierato coming out che dura non più di due secondi) e perfino per il Chekov di Anton Yelchin recentemente scomparso. Il villain di turno è il misterioso Krall, interpretato da Idris Elba, reso irriconoscibile da tonnellate di trucco e protesi. Nonostante un ingresso in grande stile, il suo apporto tuttavia alla pellicola diviene subito marginale e risulta uno degli aspetti meno convincenti di Star Trek Beyond.

Star Trek Beyond
Nell’insieme Star Trek Beyond risulta un film in linea con le aspettative dei fan meno accaniti e di coloro i quali non desiderano trascorrere un apio di ore in un’atmosfera da sogno tecnologico e che, una volta tanto, viene avallata da un 3D degno del suo nome e funzionale alla resa globale della storia.