cinema

The Grudge, di Nicolas Pesce

L’ “onryō” è uno dei fantasmi tipici della tradizione giapponese, destinato a ritornare nel mondo dei vivi per cercare vendetta, solitamente dopo una morte violenta. La frequente rappresentazione dell’onryō nel teatro kabuki ha contribuito a definire dei tratti comuni per i fantasmi di sesso femminile, solitamente vestiti con il kimono bianco delle funzioni funerarie, e con lunghi capelli neri scompigliati che incorniciano un viso pallidissimo.

Quando pensiamo a The Grudge, la prima immagine che viene in mente è quella di Kayako, l’onryō per eccellenza, accovacciata sotto il letto o in un angolo buio, con gli occhi sgranati e le braccia bianche e sottili pronte ad afferrare il malcapitato. Kayako è la protagonista della serie cinematografica horror, Ju-on, ideata da Takashi Shimizu, e meglio conosciuta in occidente per i suoi remake statunitensi come The Grudge. A lei si affianca anche la sua versione maschile, incarnata dal piccolo Toshio, che come lei infesta la casa dove hanno trovato la morte.

La maledizione di The Grudge inizia infatti in una casa di Tokyo dove Kayako è stata uccisa insieme a suo figlio dal marito, geloso del suo amore non ricambiato per un professore universitario. Da qual momento chiunque metta piede nella casa rimane contagiato dalla maledizione, e la porta con sé in qualunque parte del mondo. I fantasmi inseguono i malcapitati ovunque, apparendo loro con sembianze terrificanti, con l’unico obiettivo di ucciderli. Non c’è un posto sicuro dove rifugiarsi, perché la rabbia dei morti non si può fermare, né placare, so non con la morte.

Da qui Nicolas Pesce è partito per immaginare il suo remake, ma qui Kayako fa solo una breve comparsa, nelle poche scene che vedono  Fiona Landers a Tokyo, prima di tornare America dove, dopo essersi riunita con il marito Sam e la figlia Melinda, uccide entrambi e si suicida pugnalandosi al collo. Il poliziotto che si occupa del caso, dopo essere entrato nella casa, inizia ad avere orrende visioni e viene rinchiuso in manicomio.

Lo stesso orrendo destino attende alcuni anni dopo la detective Muldoon, che si reca nella stessa casa, ora abitata dalla coppia di anziani Faith e William Matheson, per indagare sulla morte di una donna trovata nel bosco in avanzato stato di decomposizione.

Come da copione, la maledizione legata alla casa insegue e uccide chiunque vi metta piede, ma questa volta Nicolas Pesce non rievoca i fantasmi classici della saga, ne crea invece di nuovi a partire da una nuova tragedia e da una nuova casa infestata dall’altra parte del mondo.

Sebbene non manchino i jump scare e immagini tipiche dell’iconografia dell’horror giapponese, la pellicola sembra sfruttare un’idea già consumata, già troppo sfibrata da sequel e remake (a partire dal remake statunitense The Grudge del 2004, per continuare con The Grudge 2 nel 2006 e The Grudge 3 nel 2009) e che oltretutto, vedendo venir meno i suoi protagonisti, non possiede più il suo tratto distintivo, quello che distingue la saga da qualunque altro horror sulle case infestate. Così come The Ring non potrebbe esistere senza Samara, ed è indissolubilmente legato alla sua triste storia, allo stesso modo The Grudge, senza Kayako e Toshio è svuotato della sua personalità e non riesce a trasmettere lo stesso senso di inquietudine degli altri film della saga.

Station to station, di Doug Aitken in DVD

«Station to station è un viaggio attraverso la creatività moderna», un progetto ambizioso di Doug Aitken, che è stato reso possibile dai finanziamenti di un folto gruppo di istituzioni: MoMA PS1, Carnegie Museum of Art, MCA Chicago, Walker Art Center, SITE Santa Fe, LACMA e SFMOMA e grazie alla collaborazione di SkyArteHD e Levi’s.

Negli Stati Uniti, nel 2013, un treno ha percorso le 4000 miglia che separano l’Atlantico dal Pacifico, per oltre 24 giorni, fermandosi in 10 stazioni, dove hanno avuto luogo happening artistici di notevole interesse socioculturale: arte concettuale, musica di vario genere, cinema, coreografie, performance di teatro s’incontrano lungo il percorso del treno, metafora della vita e del suo continuo cambiare, essere in movimento – tutto scorre, πάντα ῥεῖ (panta rei), come direbbe Eraclito – in un mondo sempre più social e in continua evoluzione. Il film di questo viaggio, di questi incontri, di questi eventi è raccontato attraverso 62 film di un minuto che generano un’ulteriore esperienza di condivisione creativa nello spettatore, chiamato a viaggiare anche con la propria mente attraverso suggestioni sonore e visive e stimolato ad una riflessione personale dai dialoghi filosofici dei personaggi.

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Da New York a San Francisco passando per le stazioni di Pittsburgh, Chicago, Minneapolis – St. Paul, Santa Fe – Lamy, New Mexico, Winslow, Arizona, Barstow in California, Los Angeles e Oakland, ogni città ha qualcosa da raccontare, tramandare, condividere e, nell’incontro con il viaggiatore-spettatore, contaminare generando qualcosa di nuovo, perché, in fondo, «la creatività a volte consiste nel trasformare qualcosa di familiare in qualcos’altro», l’ordinario in qualcosa di straordinario, come scrive Nolan in The prestige, e come ogni operatore cinematografico ha intenzione di fare.

Doug Aitkin riesce a coinvolgere lo spettatore se non nel processo creativo quantomeno nel viaggio dell’arte attraverso l’arte, e per l’arte, dato che tutti i proventi ottenuti sono andati a finanziare ulteriori programmi artistici “multi-museo” per tutto il 2014. Un esempio che sarebbe bello si replicasse in ogni Paese del mondo, ovunque ci sia un treno che possa portare raggiungere l’oceano, inteso come orizzonte illimitato di conoscenza.

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Tra gli artisti che prendono parte al loro film di un minuto anche il nostro Giorgio Moroder, compositore 3 volte premio Oscar per Fuga di mezzanotte, Flashdance e Top Gun, nonché autore di “The Neverending Story”, la famosissima canzone del film La storia infinita.

Il libro Station to Station, pubblicato da Delmonico Books – Prestel, presenta più di 200 immagini a colori e numerose conversazioni, che fanno da “diario di bordo” di questo magnifico treno dall’Atlantico al Pacifico.

IL DVD

 

REGIA: Doug Aitken INTERPRETI: Kenneth Anger, Olaf Breuning, Peter Coffin, Thomas Demand, Urs Fischer, Meschac Gaba, Liz Glynn, Fischli & Weiss, Fritz Haeg, Carsten Höller, Olafur Eliasson, Christian Jankowski, Aaron Koblin, Ernesto Neto, Nam June Paik, Jorge Pardo, Jack Pierson, Nicolas Provost, Stephen Shore, Rirkrit Tiravanija, and Lawrence Weiner. Musicians included Beck, The Black Monks of Mississippi, Boredoms, Jackson Browne, Cat Power, Cold Cave, The Congos, Dan Deacon, Eleanor Friedberger, The Handsome Family, Lia Ices, Kansas City Marching Cobras, Lucky Dragons, Thurston Moore, Giorgio Moroder, Nite Jewel, No Age, Patti Smith, Ariel Pink’s Haunted Graffiti, Savages (band), Mavis Staples, Suicide (band), Sun Araw, THEESatisfaction, Twin Shadow and others. Printed matter contributors included Taylor-Ruth Baldwin, Yto Barrada, Sam Durant, Karen Kilimnik, Urs Fischer, Catherine Opie, Jack Pierson, Raymond Pettibon, and Josh Smith TITOLO ORIGINALE: Station to station GENERE: documentario arte concettuale DURATA: 68′ ORIGINE: USA, 2015 LINGUE: Inglese 2.0 Dolby Digital SOTTOTITOLI: Italiano EXTRA: 10 performance/cortometraggio DISTRIBUZIONE: Wanted – CG Entertainment

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Station to station è uno dei primi prodotti targati Wanted, una nuova distribuzione che punta su voci e linguaggi rivoluzionari, che non respinge “temi scomodi”, per un cinema di ricerca e “ricercato”. Il manifesto ne espone chiaramente gli audaci intenti:

“Vogliamo proporre voci e linguaggi rivoluzionari
Affrontare argomenti scomodi
Farvi ascoltare solo chi ha davvero qualcosa da dire
Contro le logiche omologanti della legge di mercato
Chiedervi di alzare la vostra mano per il cinema che davvero volete
Nasce una nuova società di distribuzione cinematografica che parla a un pubblico sensibile e dal gusto trasversale
Pellicole raffinate, clandestine, fuori dal coro
Voci nuove, non convenzionali, a tratti rivoluzionarie
Temi senza tempo, e quindi sempre attuali”

Anastasia Plazzotta, una delle fondatrici, puntualizza il target al quale sono rivolti i prodotti Wanted: «a chi da un film si aspetta non soltanto divertimento, ma anche pensiero, stimolo, dibattito, sorpresa, approfondimento. Un cinema che non scivola via appena si accendono le luci, ma che lascia un segno nello spettatore». Niente di più vero nel caso di Station to station.

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Wilde Salomè, di Al Pacino

Wilde Salomè è il collage artistico che unisce i pezzi di una folle passione.

Salomè è la più controversa opera di Oscar Wilde: il testo, scritto in francese nel 1893 e cucito addosso all’attrice Sarah Bernhardt (che poi si rifiutò di interpretarlo a causa degli scandali che nel frattempo avevano colpito l’autore inglese, accusato di sodomia) racconta la leggenda del Re Erode (Al Pacino) e del suo folle e perverso desiderio per la giovane figliastra Salomè (Jessica Chastain) che, a sua volta, cerca di sedurre Giovanni Battista (Kevin Anderson). Entrambi non riescono a contenere i limiti traboccanti della loro folle lussuria: Erode promette di esaudire qualunque desiderio espresso dalla giovane purché danzi per lui e Salomè , dal canto suo, non se lo fa ripetere due volte e chiede la testa di Iokanaan su un piatto d’argento. Solo così, finalmente, riuscirà a baciarne le tante agognate labbra senza che il profeta si opponga alla profonda vibrazione sessuale del gesto.

Wilde Salomè

Al Pacino, interrogato sul suo nuovo esperimento, 10 anni dopo la direzione di Looking for Richard (sul Riccardo III di William Shakespeare), afferma: «Wilde Salomè è il mio tentativo di fondere l’opera teatrale e il cinema. I due linguaggi possono quasi stridere, essere in contrasto tra loro, la mia speranza è di averli amalgamati al meglio. Fare in modo che questo ibrido funzioni è stato il mio obiettivo: unire tutta la qualità fotografica del cinema a quell’essenza dell’acting che è propria del teatro».  A trovare un difetto al documentario-film dell’attore de Il padrino è proprio l’onnipresente figura del suo regista. Al pacino sceglie, infatti, di farsi seguire dalla macchina da presa in ogni momento della preparazione allo spettacolo teatrale in scena a Los Angeles e alla contemporanea realizzazione del suo film tratto dal testo di Wilde. Una follia artistica che, tuttavia, dimostra come uno dei testi più belli ma anche, forse, tra i meno conosciuti del geniale autore inglese, non possa essere affrontato e rappresentato solo come un dramma teatrale, ma neanche soltanto come un film. Al Pacino conta una percentuale di battute spropositatamente più alta rispetto a quelle pronunciate dagli altri protagonisti del documentario: il motivo? La passione.

Wilde Salomè

La passione irrazionale di Erode non solo per la sua giovane figliastra, incestuoso sentimento che risponde allea pulsioni sessuali incontenibili, ma anche, inspiegabilmente, per Giovanni Battista, di cui non riesce a decidere il futuro (nonostante la moglie Erodiade –Roxanne Hart– prema per l’uccisone) perché affascinato dal suo intimo rapporto con Dio e dalla sua bocca dispensatrice di verità indicibili.

La passione di Salomè per un prigioniero reietto ma affascinante, un sentimento che le causa uno squarcio nel petto così profondo da poter essere riempito solo dal sentimento di vendetta: il perverso piacere di vedere annullata l’esistenza di chi rifiuta il suo amore in nome di un Dio intangibile e lontano sembra essere per lei l’unica ragione di vita e l’unica possibilità di soddisfazione.

La passione di Oscar Wilde per l’attività di scrittore, geniale e rivoluzionaria, in grado di dipingere con le parole non solo la bellezza ma, soprattutto, le profondita più recondite dell’essenza umana, anche quelle più scomode e mai messe in scena di nessuno.

La passione, infine, di Al Pacino non solo per Oscar Wilde e per la sua scelta di estraniarsi dal mondo e dalle convenzioni sociali, prendendo apertamente posizione su ciò che per lui è importante, ma anche per il testo stesso della Salomè, poeticamente lieve nella sua veste estetica ma così forte e lacerante nella sua essenza contenutistica. Come poter, allora, rappresentare una passione se non con soggettività? Se, quindi, l’ego smisurato di Al Pacino occupa gli 88 minuti di visioni, lo spettatore pagherà favorevolmente lo scotto di questa presenza pur di godere di un viaggio alla scoperta di un Wilde inedito e sconosciuto, affidato alla conduzione di un montaggio intelligente e coinvolgente, di una fotografia (Benoît Delhomme, La teoria del tutto, Il bambino con il pigiama a righe) evocativa e coerente con il tema e di una performance brillante ed entusiasmante di una (allora) semisconosciuta Jessica Chastain (Interstellar, Sopravvissuto – The Martian). L’intensità dei suoi sguardi e la profondità della sua voce entrano perfettamente nella tempra della conturbante Salomè e rimangono impressi nella mente in maniera indelebile.

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Si esce dalla sala con l’intensa voglia di recuperare l’opera omnia di Oscar Wilde e di scavare più in profondità sul valore artistico di un autore che non è solo il padre del Dorian Gray studiato a scuola. A quale maggior risultato potrebbe ambire un documentario?

AMLETO con Benedict Cumberbatch: dal National Theatre al Cinema

Il 19 e 20 aprile in occasione del quattrocentesimo anniversario della morte di William Shakespeare, nell’ambito del progetto che porta su grande schermo il meglio delle produzioni del teatro londinese in lingua originale sottotitolato in italiano, arriverà nelle sale di tutta Italia Amleto con il candidato all’Oscar Benedict Cumberbatch nel ruolo del protagonista della tragedia diretta da Lyndsey Turner. Un evento attesissimo che proporrà agli appassionati di teatro, letteratura e cinema una delle tragedie più famose del poeta di Stratford-upon-Avon nell’acclamata produzione del National Theatre.

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Benedict Cumberbatch, amatissimo e noto al grande pubblico per The Imitation Game e per la serie di successo mondiale Sherlock, ha dichiarato “È veramente emozionante poter aprire la nostra produzione teatrale di Amleto ad un più vasto pubblico con il National Theatre Live. L’idea che le persone che, per un qualsiasi motivo, non possono raggiungere il teatro possano invece unirsi a noi per una notte nelle sale cinematografiche di tutto il mondo è straordinaria. Ogni proiezione sarà senza dubbio caratterizzata da una propria atmosfera, ma ovunque si stia guardando lo spettacolo, grazie alla brillante squadra del National Theatre Live, sarete proprio nel cuore dell’azione e nel miglior posto disponibile in sala”.

Il Trailer di Amleto

Il viaggio di Norm, di Trevor Wall

Il Polo Nord è in pericolo? Ci pensa Norm, un simpatico orso bianco che non sa cacciare, ma sa comunicare anche con il linguaggio umano e, soprattutto, sa ballare divinamente! Questi suoi interessi che esulano dal tradizionale modus vivendi dei suoi simili, lo rendono triste e solo, specialmente da quando è scomparso il nonno. Le potenzialità di Norm, come accade per la maggior parte dei “multipotentialite” come lui, vengono soffocate per paura di un fantomatico disordine sociale o assurde ragioni simili. Anche il padre, sovrano dell’Artide, gli ricorda le regole di un regno, dove «si caccia, si regna, si dorme» e dove non c’è spazio per nient’altro, salvo delle buffe esibizioni occasionali per turisti organizzate da Stan, fratello di Norm, anche lui attratto dal palcoscenico, anche se da dietro le quinte. Chi come Norm, invece, aveva il dono della parola era il nonno che, oltretutto, rappresentava un modello di re istintivo e perspicace che «sente la sofferenza dei ghiacci».
Quando Greene, un magnate senza scrupoli, cerca di realizzare, a dispetto del suo nome che rimanda alla natura e alla green economy, un immorale progetto di urbanizzazione del Polo Nord, infischiandosene dell’impatto ambientale e dei potenziali danni che il surriscaldamento della calotta polare può provocare all’ecosistema artico e al mondo intero.
Su consiglio del gabbiano Socrate e dell’orsa Elizabeth, Norm va a risolvere il problema all’origine: a New York. E così, tra rivisitazioni etimologiche della “pole dance”, esibizioni di twerk, brani pop famosi ed orecchiabili, sofisticate operazioni di marketing, tra cui un flash mob a Times Square, e rocamboleschi inseguimenti per le strade trafficate di Manhattan, l’eroe dei ghiacci del Nord mette in atto il suo piano per salvare la sua casa e il mondo intero.

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Impresa impossibile? Forse, ma Norm non è da solo! Ad aiutarlo ci sono Olympia, una bambina prodigio, figlia della direttrice marketing di Greene, e i tre lemming, roditori artici di piccole dimensioni, i perfetti compagni di team per un multipotentialite, specialisti di missioni impossibili, pronti a tutto e praticamente indistruttibili, grazie alla loro speciale costituzione fisica, tanto leggera e soffice da essere a prova di urto. I lemming svolgono egregiamente sia la macrofunzione comica sia una microfunzione di coro, in tutti i sensi! Il pubblico viene letteralmente calamitato dalle loro gesta, eroiche e non! Un po’ come accaduto in passato con i pinguini di Madagascar o i Minions di Cattivissimo me. Chissà che non possano un giorno avere anche loro uno spin off incentrato su di loro. Sarebbe un bel risarcimento per la loro reputazione, meschinamente ridicolizzati da un “documentario” del 1958 della Disney intitolato White wilderness, che include varie scene di lemming che sembrano buttarsi da un’alta scogliera. In realtà, le scene in questione sono state costruite ad arte in Manitoba. Una farsa che ha affibbiato ai lemming la nomea di animale con la tendenza al suicidio di massa, cosa che non ha alcun fondamento scientifico. L’unico dato di fatto che può, in qualche modo, aver contribuito alla creazione di questo falso etologico è che i lemming sono soliti migrare in gruppi numerosissimi e, di conseguenza, molti di loro possono morire per cause accidentali oppure per la pressione degli altri individui che può provocarne la caduta in corsi d’acqua e dirupi. A causa della loro associazione con questo bizzarro comportamento, la sindrome del lemming è una diffusa espressione utilizzata per riferirsi in maniera metaforica a persone che seguono acriticamente l’opinione più diffusa, con conseguenze pericolose o addirittura fatali. Forse non a caso è stato scelto questo tipo di animale per affiancare un orso polare con problemi da multipotentialite.

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Per chi legge il termine per la prima volta, per multipotentialite s’intende una persona che nella vita ha molti interessi, diversi tra loro e spesso neanche interconnessi. Non ha un’unica vocazione, ma il suo percorso segue molti sentieri in sequenza o contemporaneamente, o entrambi. Spugna dalla straordinaria capacità assorbente per quanto riguarda l’apprendimento, intellettualmente e artisticamente curioso e pronto all’esplorazione di tutto, il multipotentialite riesce in poco tempo ad aver padronanza di nuove competenze ed è eccellente a produrre idee in modo creativo che connettono le diverse materie di cui si interessano. Sarebbe un incredibile innovatore e risolutore di problemi, se non fosse ostacolato dal tradizionale modo di vedere il mondo. Ma, come molto, troppo!, spesso accade il “diverso”, che in realtà è solo “divergent”, come Norm, in quanto anticonvenzionale ed eccentrico, viene emarginato dalla comunità di orsi, preso in giro dai caribou di turno, costretto a nascondere la propria identità, unica ed irripetibilmente magnifica.

Come magnifica è stata l’originale tecnica di filmare lo storyboard con artisti che recitano e ballano dal vivo, per poi passare il materiale al team di illustratori e animatori, per rendere più realistiche possibile le espressioni, le emozioni e la gestualità dei personaggi del film. Mentre per l’ambiente artico il regista Trevor Wall e la crew, che lo segue dai tempi della televisione e del successo Sabrina: i segreti di una vita da strega, hanno preferito un design più da cartone animato che superrealistico, per le sequenze di Manhattan e i vari grattacieli hanno utilizzato immagini computerizzate in modo da costruire uno spazio urbano stilizzato, modellato direttamente su edifici reali, ad esempio il Walt Disney Concert Hall di Los Angeles ha fatto da modello di riferimento per minacciosa casa futuristica dell’immobiliare Greene. Di nuovo la Disney. Un’altra allusione negativa nascosta nel sottotesto? I nomi derivati dalla cultura greca, Socrate e Olympia, e la scelta di fare di un orso bianco il re dell’Artide confermano la presenza, quantomeno, di un sottotesto ben studiato: la parola Artide viene dal greco ἀρκτικός (arktikos), ossia “vicino all’Orsa”, cioè a Nord, e deriva a sua volta da ἄρκτος (arktos), che significa proprio “orso”. Il riferimento è sia alla costellazione dell’Orsa maggiore, che si trova nell’emisfero settentrionale della volta celeste, sia alla costellazione dell’Orsa minore che contiene Polaris, la stella polare, fin dall’antichità punto di riferimento fondamentale perché stabilmente fissa al Nord geografico, secondo la percezione umana. Non poteva, quindi, che essere un Ursus maritimus, come lo chiamerebbe Olympia, il simbolo della difesa di un ecosistema il cui stato di salute è il fulcro del destino dell’intero pianeta.

«Sta arrivando qualcuno! Siate naturali!»

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Originariamente realizzato per il mercato home cinema, Il viaggio di Norm è anche e soprattutto questo: una favola ambientalista che tocca il tema della diversità come valvola di innovazione, attraverso una forma divertente e scanzonata, ma soprattutto molto semplice, in modo che i contenuti possano arrivare dritto al cuore anche degli spettatori più piccoli, senza alcuna difficoltà di comprensione. Il viaggio dell’eroe è più che mai di natura formativa, spirituale, educativa, alla scoperta di sé – e della rivoluzione a cui porta il “think different” –  e alla ricerca di quel coraggio che serve per credere nelle proprie capacità, anche se sono fuori dalla norma. Tanto, in fondo, chi decide cosa è “normale” e cosa non lo è?

Everybody wants some di Richard Linklater: Poster e Trailer

Strana operazione quella di Richard Linklater, dove “strana” stavolta non è traducibile con il classico “weird”, uno dei suoi marchi di fabbrica. Stavolta è più qualcosa di indecifrabile. Anche per le poche informazioni che sono trapelate. Everybody wants some, in uscita ad aprile, è presentato come il sequel ideale del suo Dazed and confused (1993), in Italia passato con il titolo un po’ fuorviante La vita è un sogno. Non sarà attualizzato, come ci ha abituato la moda cinematografica degli ultimi anni, ma ambientato nel 1980. A rimarcare la vicina parentela con il film, il titolo provvisorio era That’s what I’m talking about, una linea di dialogo estratta proprio da una scena di Dazed and confused. Secondo il regista, Everybody wants some rappresenta, anche, il seguito di Boyhood (2014) perché quest’ultimo finiva proprio dove il nuovo lavoro di Linklater comincia: un ragazzo inizia la sua nuova esperienza al college ed incontra quelli che saranno i suoi compagni di stanza e una ragazza.

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Anche se i fan speravano in un ritorno di Matthew McConaughey come David “alright, alright, alright” Wooderson, il suo primo ruolo di un certo spessore, in pratica il debutto dopo la comparsata in Fantasma per amore. E invece Linklater ha preferito dei relativi sconosciuti come Zoey Dutch, Tyler Hoechlin, e Ryan Guzman che gli permettono di rivisitare l’atmosfera giovanile originale che ha portato tanta fortuna a star allora alle prime armi: oltre al già citato Matthew McConaughey, facevano parte del cast di Dazed and confused Jason London, Ben Affleck, Milla Jovovich, Cole Hauser, Renée Zellweger, Parker Posey, Adam Goldberg, Joey Lauren, Adams, Nicky Katt, e Rory Cochrane. Solo Glen Powell è stato già diretto da Linklater in Fast Food Nation (2006).

Nei primi anni ’90 Dazed and confused, insieme con il precedente Slacker, fu considerato un manifesto della Generazione X, perché i personaggi, quasi tutti ventenni, sono molto interessati a riflessioni e considerazioni intellettuali o pseudo-intellettuali piuttosto che a costruirsi una vita, una carriera e una famiglia.

Mentre Dazed and confused racconta di alcuni ragazzi che progettano la loro estate dopo l’ultimo giorno di scuola, i protagonisti di Everybody wants some sono una marmaglia malassortita di studenti inseriti anche nella squadra di baseball del loro college. Insieme sperimenteranno i loro primi travolgenti assaggi di maturità in assenza della supervisione degli adulti. Non possiamo sapere se ci saranno i classici sesso e droga ma… la musica che ha fatto la storia degli anni ’80 ci sarà, non può essere altrimenti dato il titolo che fa risuonare in testa il famosissimo brano di Van Halen!

Girato alla Texas State University di San Marcos, il film di Linklater si preannuncia permeato di una coinvolgente filosofia alla “It’s all right… take it easy!“, quello che ci vuole per i primi assaggi di estate!

In Italia esce il 16 giugno. Non perdetelo!

Animali fantastici e dove trovarli – Trailer

Dalla sua fucina delle magiche arti scrittorie, J. K. Rowling mette a segno un nuovo colpo: ANIMALI FANTASTICI E DOVE TROVARLI sarà il primo film di “almeno una trilogia”. L’adattamento cinematografico del libro di testo di magizoologia di Hogwarts è diretto da DAVID YATES, ormai un veterano delle trasposizioni della scrittrice britannica. La Rowling ha dichiarato che il film “non è né un prequel, né un sequel della serie di Harry Potter, ma un’estensione del mondo magico. La storia di Newt avrà inizio a New York, settant’anni prima di quella del giovane Harry”. Più corretto chiamarlo spin off, quindi. Ma cos’avrà in serbo il libro del destino per questo progetto “fantastico”? sarà all’altezza del successo di Harry Potter o subirà la classica maledizione dell’eterno secondo nel confronto con il primogenito? In attesa di conoscere ciò che ci aspetta il prossimo magico autunno, iniziamo a fare la conoscenza di Newt Scamander e di una stravagante New York incantata.

1926. New York. Il “magizoologo” Newt Scamander decide di fermarsi in città per riposarsi dopo un lungo viaggio in giro per il mondo alla ricerca di straordinarie creature magiche per studiarle e catalogarle sul suo libro. Ma un no-maj (il termine americano per babbano) di nome Jacob, una valigetta lasciata nel posto sbagliato e la fuga di alcuni degli Animali Fantastici di Newt causeranno non pochi problemi sia nel mondo magico che in quello babbano. Riuscirà Newt a risolvere la situazione?

TRAILER ufficiali in italiano:

Ad affiancare il protagonista EDDIE REDMAYNE, premio Oscar per La teoria del tutto, ci saranno KATHERINE WATERSTON, COLIN FARRELL, JON VOIGHT, RON PERLMAN, EZRA MILLER e SAMANTHA MORTON.

Sicura del successo forse grazie a qualche incantesimo a noi sconosciuto, la Warner Bros ha già diffuso anche le date di uscita dei seguenti capitoli: 16 novembre 2018 e 20 novembre 2020!

Intanto ANIMALI FANTASTICI E DOVE TROVARLI sarà al cinema dal 17 NOVEMBRE !

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Regali di Natale? Suggerimento #4

Mancano poche ore e ancora non avete comprato niente per l’appassionato di cinema. Ma, cosa fargli che probabilmente non ha già? Occorre un regalo ricercato… Come Star Wars ha conquistato l’universo probabilmente fa al caso vostro: il libro che mette d’accordo tutti dal fan dell’ultima ora al maniaco di vecchia data, dal neofita al lettore più navigato. Il libro di Chris Taylor, edito da Multiplayer Edizioni, è un grande studio del capolavoro space fantasy che ha incantato generazioni per tanto tanto tempo e che sempre avrà da raccontare per tanto tanto tanto tanto altro tempo ancora.


«La realizzazione dell’opera di Lucas è divenuta leggendaria quasi quanto la storia che il film racconta e chissà che parte delle difficoltà e delle sfide affrontate dal creatore della saga cinematografica più celebre del mondo non abbia lasciato un segno più profondo di quanto non si pensi nel risultato finale e sull’evoluzione stessa della sua creatura. Molto è stato scritto e raccontato in proposito – e il presente libro è il resoconto più approfondito ed esaustivo sull’argomento che sia mai stato scritto finora – sia ufficialmente sia ufficiosamente, ma tutto ciò forse è assai meno importante rispetto all’impatto planetario che Star Wars ha avuto sull’industria cinematografica e, di conseguenza, sull’immaginario collettivo mondiale».

Il resoconto di Chris Taylor è dinamico e coinvolgente e spiega come il sogno di un regista si sia realizzato ben oltre la sua stessa fervida immaginazione.

Come Star Wars ha conquistato tutti con la sua leggerezza ed esuberanza, mantenendo comunque più piani di lettura anche seri, questo libro piacerà anche a chi non ha aspettato trepidante Il risveglio della Forza, perché la storia della saga più famosa di tutti i tempi è essa stessa avvincente e piena di sorprese. Per gli appassionati, ma anche per chi vuol fare bella figura ad una cena raccontando aneddoti che pochi conoscono, anche i fan più informati, questo è il regalo dell’anno!

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«Ciò che Lucas colse con spirito realmente pionieristico e visionario […] fu che il cinema era pronto per una nuova rivoluzione tecnologica e che allo stesso tempo il pubblico aveva nuovamente bisogno di storie che si riallacciassero al Mito».

Whiplash, di Damien Chazelle

Per essere un buon musicista bisogna conoscere profondamente il tempo e il ritmo della musica, tenere sotto controllo l’emozione, essere costanti e metodici, provare i pezzi fino allo sfinimento, e naturalmente avere un talento naturale. Ma per essere il migliore bisogna superare le proprie aspettative, mettendo in gioco anima e corpo per creare un momento di estasi unico, in cui la tecnica incontra la creatività, in un equilibrio perfetto tra sangue, sudore e cervello. Andrew è uno dei candidati all’eternità nell’olimpo della musica e da quando si è iscritto nella scuola di musica più importante di New York il suo unico obiettivo è entrare a far parte della ristrettissima orchestra di Terence Fletcher, l’unico insegnante in grado di distinguere un musicista geniale da uno mediocre alla prima battuta. Fletcher non ha tempo per compassione, per le giustificazioni e per le rimostranze, perché il suo unico compito e quello di scovare l’eccellenza tra la miriade di studenti che affollano le aule della scuola con i loro strumenti pesanti e il cuore pieno di aspettative. Dal suo punto di vista chi non ha talento vale meno di niente e sta occupando deliberatamente un posto che non gli appartiene, quindi farebbe bene a fare le valigie e a tornare sui suoi passi per cercare un lavoro vero. Quando il suo orecchio sottile incontra la batteria di Andrew, uno studente di belle speranze tra i tanti, scatta in lui il desiderio di metterlo alla prova, e di sfidare senza alcuna pietà i suoi limiti fisici e mentali per scoprire la sua passione rudimentale per i grandi del jazz è supportata da un’abilità fuori dal comune.

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Il mondo dei vecchi, esperti ma saccenti, si scontra in un testa a testa senza precedenti con l’arroganza dei giovani, nutrita dalla fame di successo e dal desiderio di sfondare a costo della vita stessa. A ogni passo avanti del giovane Andrew corrisponde una flagellata sulla sua autostima, a ogni successo un atroce fallimento. Fletcher non indietreggia davanti allo sforzo sovrumano che fa il ragazzo per colpirlo, non si lascia intenerire dal sangue né dal sudore, perché anche quello fa parte del gioco e, mentre Andrew perde il sonno per affinare la tecnica, lui gioca slealmente per affermare il suo potere assoluto. La sala prove del conservatorio è il ring cruento su cui si fronteggiano discepolo e insegnante a colpi di bacchette, cadendo e rialzandosi all’infinito, pressando la psiche, consumandosi le dita, mentre Damien Chazelle li osserva in silenzio dietro la sua macchina da presa, indugiando sulle pieghe dei loro volti, sui muscoli in tensione e sui rivoli di sangue che macchinano la batteria. Per fare musica ad alto livello, come per fare cinema, bisogna lasciare che l’arte assorba la mente e consumi il corpo se neccessario, questo ci dice Chazelle. Bisogna prendere un piatto in testa per diventare Charlie Parker e suonare l’assolo più incredibile che la storia ricordi, e non bisogna mai rilassarsi, mai compiacersi, perché le possibilità di migliorarsi sono infinite. In questa battaglia contro i propri limiti le parole “ben fatto” sono il nemico più pericoloso, perché corrispondono a una sosta quando non bisogna fermarsi, e Chazelle, da giovane e talentuoso cineasta, non si ferma mai e afferma attraverso il medium musicale le possibilità infinite di espressione del medium cinematografico, che scava senza pietà nei luoghi più oscuri dell’animo umano, nelle motivazioni più incomprensibili di un maestro che non è mai diventato un grande e cerca l’autoaffermazione nella realizzazione dei suoi allievi, a costo di portare l’arte alle conseguenze più estreme, là dove non dovrebbe mai arrivare.

The Judge, di David Dobkin

Il ritorno alla provincia ed il rapporto difficoltoso padre-figlio sono temi che innegabilmente piacciono molto al cinema americano. The Judge si inserisce senza nascondersi troppo in entrambi i filoni utilizzando due grandi attori quali Robert Downey Jr e Robert Duvall, per raccontare una storia che, pur non spiccando per originalità, ha come punto di forza, oltre ad i suoi interpreti, una regia da manuale che mischia inquadrature canoniche a qualche piacevole vezzo stilistico, rivelando grande attenzione per i dettagli. Emblematica la carrellata iniziale di oggetti che mette in chiaro col minimo sforzo le caratterizzazioni di tutti i membri della famiglia Palmer: una videocamera, una mazza da baseball, un articolo di giornale polveroso e una pianta di ortensie lilla.

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La sceneggiatura è caratterizzata dal plot legal-drama che vede come protagonista il brillante avvocato metropolitano Herny Palmer, in lite da anni con il padre Joseph, giudice del piccolo paese dell’Indiana in cui è nato. La morte improvvisa della madre lo costringe a tornare nell’entroterra americano e qui il dramma familiare si intreccia con all’accusa di omicidio che ricade sull’anziano padre, apparentemente colpevole di aver investito con l’auto un uomo la notte seguente ai funerali della moglie. La presentazione rimane comunque la parte migliore della pellicola ed è tenuta in piedi dal solito Downey Jr, che con il suo personaggio sopra le righe ricalca più o meno tutte le ultime figure da lui interpretate, da Sherlock Holmes a Tony Stark, conquistando facilmente la simpatia dello spettatore.

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Quando la trama però entra nel vivo cominciano i problemi. La scoperta della malattia terminale che affligge il giudice Palmer e tutto il processo di riavvicinamento tra i protagonisti si muove su binari fin troppo prevedibili e melensi. Duvall ce la metta tutta per commuovere lo spettatore, ma la sua prestazione viene annacquata da una serie di momenti ridondanti, che avrebbero giovato di qualche sforbiciata nelle due ore e mezza di durata. Sintomatica anche la ripetizione della bella “Holocene” di Bon Iver, colonna sonora delle scene più intense utilizzata in più di un occasione.
Oltre alla monotonia, non mancano poi i luoghi comuni tutti fedeli al moderno american style: dalla bandiera che inneggia alla nazione, alle ex fidanzate ancora innamorate, ai fratelli giocatori di baseball, fino alle bambine perfette che non fanno altro che sorridere. Di certo si tratta di un esempio di cinema con poche sbavature nella sua confezione e che mira alle lacrime di un grande pubblico, ma per mancanza di coraggio e di inventiva difficilmente rimarrà impresso nella nostra memoria.

Marco Nicoli