cinquanta sfumature di grigio recensione

Berlinale 65 – Fifty Shades of Grey, di Sam Taylor-Johnson

Forse Jane Austen arrossirebbe davanti a un ombroso Mr. Darcy armato di corde e gatto a nove code, che punisce violentemente la candida Elisabeth per aver abbassato lo sguardo alla sua vista, ma in questo audace esempio di “letteratura” moderna il sadismo di Mr. Grey, non solo è ampiamente contemplato ma elevato a un’idea sublime di possesso nei confronti dell’oggetto dei suoi desideri. Perché l’inesperta Anastasia è appunto l’oggetto dei suoi desideri, più che del suo amore. Dalla prima volta che l’ha vista, infagottata nella sua camicetta a fiori e intimidita dallo scapolo più facoltoso di Seattle, Grey non le ha mai più tolto gli occhi di dosso, l’ha seguita ovunque e l’ha ricoperta di regali con l’unico scopo di attirare l’attenzione, mettendosi persino alla ricerca della prima edizione di Tess of the d’urbervilles di Hardy, sicuro di provocare una scarica di piacere incontenibile nella povera studentessa di letteratura inglese. Grey si muove mai a caso, studia attentamente la sua preda e quando riesce a catturala, sferra il morso letale. Come da copione Anastasia cade ai suoi piedi in poche mosse, senza troppa fatica, e si abbandona completamente al suo dominatore dallo sguardo impenetrabile. Grey non parla, non lascia trapelare alcuna emozione se non il desiderio di possedere Anastasia ovunque e in ogni momento, ma nonostante l’orgoglio personale e il pregiudizio verso le sue abitudini sessuali sadomasochistiche, la ragazza lascia cadere le difese e i vestiti sul pavimento e si inchina al suo padrone nella stanza delle torture.

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Maga del calcolo come Mr.Grey, E.L. James ha avuto la lucidità e l’intraprendenza per far cadere ai piedi del suo eroe il mondo intero, e tutte le donne che fino a ieri sospiravano sulle eroine del romanticismo inglese e sugli amori platonici consumati solo con lo sguardo, improvvisamente hanno iniziato a fantasticare su un uomo che rapisce le sue amanti in elicottero per sperimentare su di loro le tecniche di bondage di ultima generazione, banalizzando l’erotismo stesso prima ancora dell’amore. Alla regista inglese Sam Taylor-Johnson è stato affidato il compito di portare questo successo letterario al cinema, di creare un’opera d’arte da un’opera inconsistente, in cui neanche le immagini più efficaci avrebbero potuto supportare uno script vuoto, colmo quasi esclusivamente di voci ansimanti e di silenzi incomprensibili. E lei ha svolto il compito che gli è stato affidato al meglio delle sue possibilità, sforzandosi di comprendere le ragioni di Anastasia da un punto di vista squisitamente femminile e di mettere in scena le sue pulsioni e allo stesso tempo il suo timore reverenziale verso Mr. Grey, il principe azzurro del Ventunesimo secolo. Peccato che l’impresa di trasformare in personaggi (più o meno) vivi le creature della James fosse al limite dell’impossibile,  visto che la loro creatrice li ha privati di qualunque emozione, fatta eccezione per fremiti durante gli amplessi, che Taylor-Johnson ha ammorbidito in una tiepida luce caramellosa, riducendo al minimo l’elemento sensuale del testo originario, che nelle sue mani si è trasformato in una commedia romantica in cui l’erotismo è più vivo nella fantasia che nella realtà.