Fausto e Nadine, entrambi soli al mondo, si conoscono sul tetto dell’esclusivo Hotel Ritz di Parigi, aspirante maître lui, aspirante modella lei. Una storia d’amore che nasce all’improvviso ma che, altrettanto immediatamente, si trova a dover affrontare ostacoli di varia natura.
Fragilità, solitudine e ossessioni dettano scelte che avvicinano e allontanano. Scelte che sembrano dettate dalla Teoria del Caos: ogni tentativo di cambiamento dello stato iniziale da parte dei protagonisti genera conseguenze tragiche per loro stessi o per chi è in relazione con loro. Si tratta di quello che in fisica è conosciuto come Effetto Farfalla. L’intera trama si svolge secondo questa legge di causa-effetto, immersa profondamente in un sistema deterministico in cui nulla avviene per caso e tutto accade secondo ragione e necessità. Come in una canzone di Francesco Renga, sembra che la felicità risieda nell’accettazione che non si possa diventare quello che non si è. Così cambi di direzione, abbandoni insopportabili, episodi drammatici sembrano solo fenomeni passeggeri nel bel mezzo di un vortice di forze ostili ai personaggi del film. Ogni stato di separazione spinge ad un’unione, da ogni stato di sopravvivenza si giunge a tentativi di evasione in cerca di miglior fortuna, che generano puntualmente una nuova, forzata, separazione che mette alla prova il desiderio di unione di Fausto e Nadine. Interessante, poi, come per ogni tentativo di fortuna dei protagonisti ci sia una vittima sacrificale, immolata su una bilancia del destino in perenne disequilibrio in un mondo ostile. Lo stesso accade per questo schema narrativo caratterizzato dalla continua e simmetrica alternanza di stati: la scelta di concludere la struttura ad anello sacrifica la sorpresa dello spettatore perché capito il meccanismo, svelato il finale.
Il film sembra voler affermare che la vita sia un’alternanza di situazioni fisse, tale e quale all’alternanza di schemi narrativi che struttura il film e che, per quanto un personaggio possa intraprendere un viaggio dell’eroe più o meno fortunato, alla fine del percorso formativo, la felicità risieda nella consapevolezza di sé e dei propri mezzi, nel comprendere e accettare la propria condizione di base: non a caso la celebre sentenza “conosci te stesso” è iscritta sul portale del santuario di Apollo a Delfi, sede del famoso Oracolo, un essere considerato in grado di fornire consigli, di predire il futuro e guidare il destino degli uomini.
Una riflessione di Nadine sottolinea come alla mala sorte dell’uno corrisponda la fortuna dell’altra, come se le due esistenze non possano mai trovarsi in equilibrio sulla bilancia del destino. Lo stesso disequilibrio lo ritroviamo nelle scelte registiche che vanificano un po’ il gran lavoro della sceneggiatura.
Non scegliendo un punto di vista, non fornendo una morale, la regia non prende posizione e costringe pure lo spettatore a vagare da un personaggio all’altro, disperdendo un po’ l’attenzione. Incoerente, seguendo questo ragionamento, l’insistenza del regista su piani ravvicinati e macchina a mano che servono a coinvolgere emotivamente lo spettatore, ad esternare la psicologia dei personaggi, proprio l’esatto contrario dell’oggettività professata dalla sospensione di un qualsiasi giudizio. Probabilmente non c’è stata un’unione di intenti regia-sceneggiatura adeguata a costruire un progetto ben ponderato in grado di generare un prodotto di altissima qualità estetica. Probabilmente non c’era altro obiettivo se non il caricare di enfasi una recitazione già nettamente soddisfacente. Da sottolineare l’intensità recitativa di Elio Germano. Astrid Bergès-Frisbey, ex-sirena della saga dei pirati di Verbinski, se la cava bene al suo fianco, ma chissà come sarebbe stato diverso vedere Alba Rohrwacher nei panni di Nadine, come annunciato all’origine del progetto!
Presentato alla Festa del Cinema di Roma 2015, il nuovo film di Claudio Cupellini, che inizialmente doveva intitolarsi I principianti, è un dramma romantico come tanti altri che non risplende e non affascina. Ci si aspettava molto di più da un prodotto ritenuto di notevole interesse culturale nazionale tanto da meritare un budget di centinaia di migliaia di euro stanziato dalle regioni Lombardia e Alto Adige e dal MIBACT, senza contare la coproduzione francese. Un budget di tale entità dovrebbe generare prodotti cinematografici di qualità ben superiore, da proporre in contesti ben più illustri. Tanto rumore per nulla.
Cupellini cerca, in extremis, di inserire elementi culturali d’effetto. Un esempio su tutti: la romanza “Ebben? Ne andrò lontana” tratta da “La Wally”, opera lirica in quattro atti di Alfredo Catalani, in cui Wally preferirebbe andarsene tra le nevi alpine piuttosto che accettare le catene di un matrimonio combinato, viene utilizzata per esteriorizzare il pensiero di Fausto che doveva essere forse criptico, ma che, in realtà, era scontato da tempo. Il fatto è che non basta citare il repertorio classico per affascinare o giustificare il budget ottenuto. Non c’è epicità nell’ingannare lo spettatore.
Tutto qui il cinema italiano che lo Stato finanzia?
Alaska manca di concretezza, di finalità programmatica, di un senso di regia generale, di una voglia di uscire dagli schemi, manca di coraggio. Senza infamia e senza lode.