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Ryuko, di Eldo Yoshimizu

Ryuko, gekiga indipendente pubblicato nel 2011 e tradotto e distribuito in Italia da Bao Publishing, è un gangster drama al femminile, in cui l’onore e la morale si intrecciano all’omicidio, alla criminalità organizzata e agli intrighi internazionali. Frutto della mente e della mano di Eldo Yoshimizu, “Ryuko” si accoda all’importante tradizione del fumetto per adulti nato in Giappone a cavallo tra gli anni Cinquanta e gli anni Sessanta, forte veicolo culturale per la manga generation e per il suo portato identitario e politico. In risposta ai manga, pensati per il puro intrattenimento, i gekiga ribaltarono la letteratura illustrata del tempo portando tematiche drammatiche, cupe e violente al centro dell’attenzione del pubblico. In questo senso “Ryuko” è perfettamente a suo agio nel ruolo di erede della grande tradizione, non risparmiando scene d’azione, complesse tematiche familiari e individuali, tutte gravitanti sul carismatico personaggio principale che dà il nome alla storia.

Nella prima parte (a cui seguirà una seconda di prossima pubblicazione), entriamo in contatto con la protagonista nel bel mezzo di un colpo di stato. Siamo a Forossyah sul Mar Nero e la giovane Ryuko è la figlia di un boss della Yakuza, esponente della cosiddetta Società del drago nero. Delusa dal padre e dal disonore che incombe sulla malavita, Ryuko decide di compiere un gesto di grande altruismo e adotta Barrel, la figlia del re Jibril. Diciott’anni dopo, la principessa – cresciuta tra i codici e i pericoli della Yakuza giapponese – è diventata una sensuale e letale sicaria alla ricerca della propria strada.

La storia di per sé piuttosto lineare, si appoggia a diversi topoi del genere: l’onore criminale  – in conflitto con le istituzioni deboli e corrotte – la lotta tra fazioni, antichi rancori e vendette che si consumano negli anni. La narrazione, tuttavia, procede in maniera tutt’altro che semplice, alternando salti geografici e temporali con un ritmo vorticoso in perfetta linea con l’intento action del racconto.

Allo stesso modo, lo stile grafico è dinamico e graffiante, una piacevole variazione delle stilizzazioni orientali, anche questo perfettamente coerente con l’azione del racconto, in cui i fisici scattanti dei personaggi – soprattutto femminili – si slanciano deformandosi in maniera quasi espressionista. La stessa rapidità di movimento la ritroviamo anche nell’organizzazione delle tavole, mai scontata e che – per quanto renda la lettura talvolta caotica – certamente può vantare un certo fascino. Bello anche il reticolato a vista, che accentua maggiormente il movimento delle figure e crea un’atmosfera decisamente pulp, alla Takeshi Kitano.

Ryuko è un prodotto riuscito, nato dall’esperienza di un vero artista a tutto tondo del panorama nipponico e internazionale. La formazione “colta” di Eldo Yoshimizu lo indirizza verso un omaggio agli anni d’oro del genere gekiga e – in generale – dell’arte contemporanea del suo Paese. La scelta del tema e dell’ambientazione, così come della protagonista – un’eroina ineffabile e inafferrabile – affermano ancora una volta il fascino del male e di tutto ciò che si muove al di là della legalità. “Ryuko” non è in alcun modo una rappresentazione del vero, ma una celebrazione sopra le righe di concetti universalI: l’onore, il valore, la pietà e il senso di giustizia. Concettuale diventa anche la protagonista, emblema di tutto ciò che è forte e vincente, eternamente giovane, esteticamente esemplare e diretta e tagliente come una freccia.

Doomboy, di Tony Sandoval

«Ti darò un nome segreto. Ma devi fare attenzione perché è un nome speciale: Doom Boy».

Dolore ed accettazione della perdita che passano per il ruggito di una chitarra elettrica suonata in riva ad una spiaggia. È questo il fulcro di Doomboy di Tony Sandoval, prolifico autore messicano dotato di un tratto accattivante e subito riconoscibile. Le sue figure, delineate da contorni di bambole ma rappresentate con un tratteggio sporco e granuloso. sono un piacere per gli occhi tanto quanto le epiche visioni che si scagliano nel cielo durante il racconto, con forza e monumentalità.

Eppure l’albo risulta permeato da una forte sensazione di silenzio, e la catarsi musicale non riesce ad essere trasmessa graficamente come dovuto. Le più volte citate “session” del protagonista, il doom metal di cui si parla, “forma estrema di heavy metal con tempi lenti e suono più opprimente”, rimane un semplice concetto scritto e non buca la pagina. Risulta più efficace invece il simbolico buco nel ventre del protagonista o il vuoto di alcune scene, come l’ottima sequenza in cui apprendiamo della morte di Anny, realizzata con una prevedibile ma efficacissima vignetta lunga scontornata, che cancella tutto quello che accade attorno.

DOOMBOY2

Nell’albo poi esce fuori l’immagine di una gioventù estremamente romantica, che paradossalmente ricorda più il rock degli anni ’60, con i miti delle radio pirata, gli happening musicali e le scazzottate tra gruppi rivali in stile Quadrophenia, che un sottobosco metal teoricamente più duro, identificabile semplicemente dal vestiario dei personaggi.

Sembra più compiuta invece la cornice del racconto, composta di storie appena accennate di amore omosessuale tenuto nascosto, di piccole rivalità e sprazzi di magia, che arricchiscono e sorreggono quello sembra un tentativo di affondare nel cuore del lettore non completamente riuscito.

M.N.