Esce oggi nei cinema l’horror fantascientifico di Daniel Espinosa dal titolo Life – Non oltrepassare il limite con protagonisti Jake Gyllenhaal, Rebecca Ferguson, Ryan Reynolds.Una delle proiezioni in anteprima a Roma si è tenuta martedì 21 aprile presso la sede dell’Agenzia Spaziale Italiana preceduta da un breve intervento di Barbara Negri, responsabile Esplorazione nell’Universo, e Gabriele Mascetti, responsabile Volo Umano e Stazione spaziale Internazionale, coordinati da Andrea Zanini, portavoce del presidente dell’ASI.
Ospite d’eccezione, l’astronauta Paolo Nespoli in collegamento dalla Nasa, che ha risposto ad alcune domande del pubblico sulla prossima missione che lo vedrà partire per il terzo viaggio sulla Stazione Spaziale Internazionale. È proprio nella Stazione Spaziale che prende il via la vicenda raccontata dal film, dove un gruppo di scienziati impegnati nella missione internazionale riceve a bordo un carico di materiale proveniente da Marte e entra così in contatto con la prima reale forma di vita di provenienza extraterrestre.
La cellula aliena si sviluppa però in brevissimo tempo in un organismo dotato di forza sovrumana e di un altrettanto sovrumana forza distruttiva impiegata per annientare qualsiasi forma di vita circostante al fine di sopravvivere. Con un registro ben bilanciato tra il trhiller e lo splatter, il film prosegue mostrando l’equipaggio che cerca invano il modo di annientare questa forma di vita sempre più intelligente e sempre più spietata. Nonostante i chiari e inevitabili riferimenti a Alien, il film è tutt’altro che prevedibile e trova anzi il suo maggior punto di forza nel sorprendente finale che annienta il clichè dell’eroico sacrificio patriottico tanto amato da un certo cinema americano, ribaltando lo stereotipo proprio nel momento in cui sembra averlo esaltato. Si celebra in modo velatamente ironico lo spettacolo visto e rivisto di un paese, quello – manco a dirlo – degli Stati Uniti, che marcia con passo da leader, patriottico e compatto nell’affrontare una scoperta che cambierà le sorti dell’intera umanità.
Il regista ha saputo sfruttare al meglio un tema di grande attualità non solo tra gli addetti ai lavori. L’idea che non siamo soli in questo immenso universo gode infatti di un crescente interesse da parte dell’opinione pubblica tanto da infiammare perfino i dibattiti sui social. Da una parte complottisti e negazionisti che rifiutano in blocco l’utilità delle missioni spaziali, dall’altra comuni cittadini che riscoprono invece l’interesse per tutto ciò che riguarda la divulgazione astronomica a seguito delle ultime sorprendenti scoperte sul sistema solare gemello Trappist-1, il film tocca un tasto sicuramente scottante e si interroga sulle possibili catastrofiche implicazioni di una vita aliena impossibile da gestire e totalmente fuori dal nostro controllo, anche quello più preparato a gestire una situazione di emergenza.
Non è un caso che l’aggressione di Calvin – così viene bonariamente ribattezzata la cellula marziana – inizi proprio nel momento in cui il gruppo di scienziati sottovaluta totalmente il potenziale pericolo. L’attribuzione del un nome, annunciato in mondovisione dal solito anelante gruppo di patriottici riunito a New York, e soprattutto il suo utilizzo morboso da parte del chimico che per primo ha interagito con l’organismo alieno, ben rappresenta l’assurda presunzione umana di poter nominare, e quindi controllare, l’ignoto. Non è un caso che in un paio di momenti la pellicola azzardi una soggettiva dell’organismo distruttivo, che si muove all’interno della stazione alla ricerca di forme di vita di cui nutrirsi, ma non sia al tempo stesso capace di svelare totalmente il motivo che si cela dietro i suoi attacchi.
Se non tutti i passaggi sono scientificamente credibili o giustificabili, senza dubbio la regia ottiene l’effetto di mantenere avvincente il ritmo della narrazione, puntando soprattutto alle singole caratteristiche del gruppo di personaggi che vediamo affrontare in modo diverso, non sempre compatto, l’imprevista aggressione da parte dell’alieno. Contribuisce a mantenere alta la tensione la totale mancanza di logica della violenza cieca di una cellula che assume forma sempre più definita ma mai un aspetto “umanizzato”.
“Se vogliamo andare più in là, non possiamo farlo da soli” questo l’avvertimento che Mascetti ha voluto lanciare prima dell’inizio del film alla platea. E ironicamente la pellicola non fa che stigmatizzare non solo la minaccia rappresentata dallo spazio remoto ma anche e soprattutto l’aspetto fallimentare di tale incredibile esperienza scientifica e il limite umano che inevitabilmente si cela dietro tanta tecnologica precisione. Non è quindi solo un attacco spettacolare stile La guerra dei mondi a minacciare il futuro del nostro pianeta, perché in fondo basta una cellula, per quanto piccola, insignificante e resa per di più familiare da un nomignolo cordiale e benevolo, a distruggere un intero ecosistema.
Il titolo del film è indicativo: è il senso stesso della Vita a essere messo in discussione all’alba di una nuova e infinitamente più estrema rivoluzione copernicana, che cerchiamo affannosamente di portare a termine ma che non sappiamo se saremo davvero in grado di affrontare o di controllare.
Da sempre oltrepassare il limite è proprio l’obiettivo che si pone la ricerca spaziale e la scienza in generale, per quanto il discutibile sottotitolo italiano ammonisca a fare il contrario. E per quanto il film mostri in modo accattivante che l’evoluzione di qualsiasi specie vivente si basa in fin dei conti su una spietata lotta per la preservazione che prevede l’annientamento di tutto ciò che è ostile ad essa. È quello che fa l’uomo ed è quello che fanno i marziani.
È forse questo il senso ultimo di una storia in cui non ci sono eroi e non ci sono nemmeno nemici nel senso pieno della parola. C’è solo una sfrenata volontà di sopravvivere che si nutre di distruzione e che appartiene tanto a noi umani quanto un organismo cellulare intelligente di nome Calvin.
La capacità di lasciare lo spettatore la volontà di interrogarsi criticamente su questi temi e al tempo stesso di divertirlo intrattenendolo con un’ora e mezza di ritmo e giusta leggerezza è sicuramente apprezzabile e saprà accontentare gli appassionati del genere.