Per fare una pozione occorrono diversi componenti, elementi che mescolandosi tra di loro diano forma a qualcosa di nuovo. Una doppia dose di fantasy, una di humor nero, un pizzico di fantascienza, una manciata di foglie di sesso e tre mestoli abbondati di morti. “Nero elfico”, romanzo di Daniele Picciuti edito dalla Watson edizioni, è un filtro bizzarro, un’ampolla colma di un liquido scuro e vischioso in cui è facile rimanere intrappolati in lettura.
Ponte Spaccato è un villaggio sperduto e i suoi quattrocentocinquanta abitanti conducono una vita semplice, noiosa, avulsa da crimini e avventure. Ignorano, però, che la faglia su cui è adagiato il borgo li strapperà con violenza da quella esistenza, scuotendoli dalle fondamenta. La morte di giovani vergini non è che l’inizio del sentiero, una strada su cui i morti si contano più dei vivi, in cui i crocicchi portano solo in direzioni peggiori e l’orizzonte è sempre più fosco del cielo alle spalle.
L’arrivo di Lacero, mezz’elfo abile con la magia degli elementi tanto quanto con la lama, non aggiusta i cocci rotti ma, anzi, manda in frantumi quei pochi ancora integri. Al suo fianco, mortale e scaltra, Violata, un’umana che fa delle ombre e del sesso le sue carte vincenti. E su, si sale, ci si inerpica tra cataste di cadaveri mentre la trama discende in antri oscuri, popolati da personaggi che di luce non ne hanno mai vista, alla ricerca del Trono d’ossa, artefatto che conferisce il dominio sui morti. E allora anche gli antieroi Lacero e Violata acquistano valore, la trama della loro esistenza si lega alla nostra lettura, si intreccia con il desiderio di camminare sui loro passi, di seguire le loro orme tinte di sangue.
Per i nomi di “Nero elfico” l’autore sembra aver optato per una scelta precisa. Seguendo il motto latino nomen omen, il nome è un presagio, Picciuti chiama i personaggi secondo la loro caratteristica preminente, fisica o mentale, o per il lavoro che svolgono. Il fabbro si chiama Inchiodato, il mago Grimorio, il paladino Fierbaldo. E allora viene da chiedersi perché per la protagonista abbia utilizzato il participio passato di violare, quasi quella donna, assassina seducente, nasconda ben più di lame taglienti e uno sguardo penetrante. E Lacero, forse, non è solo il prodotto di una daga contro la carne, ma l’anima squarciata di chi appartiene a due mondi distinti.
Pagine di diario, flashback, pensieri, incorniciano una narrazione tradizionale, formando un’ampolla curiosa per un altrettanto curioso contenuto. Quella di “Nero elfico” non è una ricetta classica, forse non è nemmeno la ricetta meglio riuscita, ma il risultato lascia un sapore gradevole in bocca, tra qualche punta di amaro e una scia acre e pungente. Insomma, un secondo capitolo per gli antieroi Violata e Lacero c’è da aspettarselo.
“Nero elfico” ha vinto anche il premio Cittadella come migliore romanzo fantasy, assegnato lo scorso marzo all’interno della 17esima edizione della Deepcon, annuale convention dell’associazione Deep Space 1.