Dark Places – Nei luoghi oscuri

Dark Places – Nei luoghi oscuri, di Gilles Paquet-Brenner

Lily ha sette anni quando il suo mondo in bilico tra la povertà e la serenità viene completamente sconvolto: in una notte di ottobre la madre e le due sorelle vengono brutalmente uccise; sopravvivono solo lei e il fratello maggiore Ben, rinchiuso immediatamente in prigione in seguito alla testimonianza a caldo che Lily rende, accusandolo di essere l’autore della strage. Venticinque anni dopo il mondo di Lily (Charlize Theron) continua a essere incerto. Non hai mai avuto nessuna responsabilità, sostenuta economicamente dalle donazioni benefiche di chi aveva a cuore la triste storia della bimba sopravvissuta, e non è stata ancora in grado di pareggiare i conti con il suo doloroso passato. In questo momento Lyle (Nicholas Hoult) irrompe nella sua vita: insieme al suo Kill Club, un gruppo di appassionati che per hobby decide di far luce sui casi di cronaca nera irrisolti o poco chiari, vuole muoversi e lottare contro i tempi della burocrazia per tirare fuori Ben (Corey Stoll, Peter Russo di House of Cards) di prigione, convinto fermamente della sua innocenza. Pur inorridita dall’invadenza di questi fanatici, Lily è costretta a collaborare con loro e accettare i soldi che le offrono per impinguare i suoi risparmi ormai al verde.

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Da questo momento la storia diventa un viaggio doloroso nel passato; non solo alla ricerca di volti e nomi ormai sepolti dal tempo ma soprattutto nei meandri della memoria, violando i luoghi oscuri della mente tenuti chiusi a doppia mandata. Se il percorso da compiere si preannuncia profondo e complicato, la sceneggiatura di Brenner non riesce a girare sugli stessi ritmi. Mancano delle vere proprie prospettive coinvolgenti dei pensieri di Lily e anche i flashback nel Kansas degli anni ottanta riescono a malapena a trascinare lo spettatore nel vortice dei ricordi della protagonista. Restituiscono, invece, un’impietosa ma realistica immagine della provincia americana, teatro di superstizioni e dabbenaggine spicciola che, in un modo nell’altro, con i suoi pettegolezzi, la sua chiusura e mentale e la sua ristrettezza di prospettive, diventa il detonatore di una singola strage leggibile come metafora di un mondo relegato quasi ai confini della civiltà. Superficiale anche la trattazione di importanti tematiche, quali il satanismo diffuso tra gli adolescenti o le difficoltà del settore agrario.

Poco illuminante, poi, la performance della Theron (in questo film in veste anche di produttrice) troppo chiusa nella sua tipica espressione di donna tenebrosa, adatta sì al ruolo, ma che non riesce a restituire un ventaglio completo di emozioni. Da segnalare, invece, l’interpretazione di Nicholas Hoult, bambino di About a boy ormai cresciuto, e di Chloë Grace Moretz, ancora una volta perfetta nella figura dell’adolescente difficile e di cui aspettiamo nuovi ruoli che, siamo certi, non deluderanno. Ciò che rimane è un inno al cambiamento, alla possibilità che ognuno ha di mettersi in discussione nonostante tutto, perché nulla rimane obbligatoriamente così come è stato scritto.