David Fincher

Festival di Roma 2014 – Gone Girl, di David Fincher

La testa di una donna è una mappa intricata di pensieri, macchinazioni e non detti, e l’unico modo per decodificare le sue reali emozioni sarebbe aprire quella scatola magica, srotolare il cervello, ed entrare in questo mondo parallelo in cui una miriade di ingranaggi si muovono in direzioni misteriose per mantenere sotto un aspetto perfettamente composto un equilibrio delicatissimo tra realtà e finzione. Se questo è vero per tutte le donne, lo è ancora di più per Amy Dunne, o per meglio dire “la fantastica Amy”, la ragazza più brillante, bella e divertente che Nick abbia mai conosciuto, una combinazione letale tra la perfetta fidanzata d’America, rigorosamente legata ai valori tradizionali e un uragano incontenibile di sensualità, che fa innamorare tutti al primo sguardo. Nick segue il copione, sposa la fantastica Amy, e immediatamente diventa il marito più felice e invidiato della città, fino a che il giorno del loro quinto anniversario Amy scompare misteriosamente. La polizia trova segni sangue in cucina e tracce di colluttazione in salotto e Nick diventa l’indiziato numero uno. Il caso di Amy diventa immediatamente il giallo dell’anno e il marito perfetto in poche ore si trasforma in un killer spietato, grazie alla diffusione televisiva di una manciata di particolari imbarazzanti sulla sua vita privata, che fanno cadere inesorabilmente la ghigliottina sulla sua testa, anche se non solo non ci sono prove sulla sua colpevolezza ma anche il fatto che Amy sia morta è una mera supposizione.

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Il potere del circo mediatico sull’opinione pubblica, alla ricerca perenne di streghe da bruciare sul rogo, è immenso così come il gusto di scavare in una relazione apparentemente felice a caccia di tradimenti, incesti e bugie, per poi puntare il dito contro il carnefice più auspicabile. La mente umana è altamente suggestionabile, e i media sfruttano questa debolezza a loro vantaggio, manipolando i fatti per fare notizia mentre distolgono lo sguardo dalla realtà dei fatti, che passa tranquillamente in secondo piano rispetto a bocconi più succulenti. Amy è la bella e Nick la bestia, questo è il loro aspetto mediatico. Ma in quale anfratto di questa apparenza banale si nasconde la verità? David Fincher esplora le luci della ribalta e le ombre della quiete domestica di una società americana accecata dalla televisione, che ha bisogno di personificare il bene e il male per vivere nell’illusione della sicurezza e che è perversamente attratta dalla spettacolarizzazione della morte. Ma è proprio nella culla di questa America borghese e benpensante che vengono allevati i veri mostri, quegli individui socialmente integrati nella società, amati e rispettati da tutti, che sotto la presenza fissa alla messa domenicale e le torte sfornate per compiacere i vicini nascondono l’orrore, e quando si chiudono alle spalle la porta di casa scatenano la loro furia.

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Fincher pone sul banco degli imputati l’America e la condanna per i crimini che giudica troppo in fretta, facendo a pezzi la facciata pubblica per fare emergere la mostruosità del privato, dietro la porte di queste famiglie da copertina. Scandagliando ogni anfratto della vita coniugale, fa emergere le nevrosi celate dai sorrisi smaglianti e inquieta nel profondo, mostrando le trappole fabbricate ad arte in cui ogni membro della coppia tenta di far cadere l’altro, per soddisfare un puro istinto di prevaricazione. La verità assoluta è decostruita in una miriade di verità possibili e il caso della scomparsa della “fantastica Amy” viene analizzato da tutte le angolazioni possibili, mentre si cercano di mettere insieme i frammenti di un puzzle disegnato minuziosamente da una mente sofisticata, quasi inumana, perché per ricostruire i tratti del mostro è necessario liberarsi delle verità precostituite e avere il coraggio di guardare negli anfratti più bui del focolare domestico, a costo di perdere se stessi.