Se The danish girl fosse stato realizzato a tutto tondo, sarebbe stato una storia di libertà e, ça va sans dire, d’amore.
Tuttavia il gusto che rimane in bocca non è quello forte di una storia che racconta un problema mettendone in scena tutti i suoi aspetti più profondi e intimamente sconvolgenti; del problema si è scelta una versione edulcorata, vicina al gusto di un pubblico non ancora pronto a vedere in scena immagini realistiche nel vero senso della parola quando si parla di sessualità.
Tratto dal romanzo di David Ebershoff edito nel 2000, in The Danish Girl Einar Wegener (Eddie Redmayne) è un pittore paesaggista di modesto successo sposato con Gerda (Alicia Vikander), anche lei pittrice che non riesce ancora a trovare uno stile personale maturo e originale. In un gioco matrimoniale e artistico, Einar fa da modella alla moglie nei panni di Lili: quello che inizia come uno scherzo si trasforma ben presto nel disvelamento di un disagio profondo e interiore che l’uomo nasconde dentro di sé da sempre e che lo porta ogni giorno “a interpretare il personaggio Einar nonostante io sappia di essere Lili”. Dopo un lungo travaglio emotivo, la vita dei coniugi Wegener cambia per sempre: Einar deve essere cancellato per fare spazio a Lili e per questo il pittore decide di sottoporsi ad un innovativo e mai tentato intervento di cambio di sesso, il primo della storia.
Tom Hooper (Les Misérables, Il discorso del re) semplifica una storia che avrebbe richiesto un più deciso approfondimento. Nulla da eccepire sulle scelte di sceneggiatura (del resto, in una storia vera e raccontata dai diari della stessa Lili il piglio inventivo passa in secondo piano) o di fotografia (affidata a Danny Cohen, candidato al premo Oscar per Il discorso del re), delicata e perfetta tra i colori danesi di case specchiate sulle lagune, facciate colorate e donne con cappelli bianchi in testa. Molto da ridire, invece, sul punto di vista adottato. In una storia dove il dramma è il vivere dentro un corpo che non si sente proprio, nelle poche scene in cui il corpo è protagonista la sensazione che si riceve è quella di uno scimmiottamento delle movenze femminili ad opera di un uomo che non desidera altro indossare lustrini, scarpe col tacco e fasciare le proprie gambe con collant all’ultima moda. Lo specchio non restituisce violenza ma solo desiderio e non si ha nemmeno lontanamente la percezione che Lili voglia uscire con prepotenza dal corpo di Einar; sembra quasi che Einar ami giocare a fare Lili senza una profonda serietà. Sorvolando sula polemica transgender relativa alla scelta dell’attore, Eddie Redmayne sembra in questo film fossilizzarsi in una performance dove ad emergere è una sofferenza diversa da quella rappresentata ne La teoria del tutto: nella precedente pellicola la condizione del grande scienziato emergeva in tutta la sua misera tristezza e riluceva nella sua grandiosità d’animo; in questo caso eddie fa solo sfoggio di gestualità e sguardi grotteschi, senza alcun evidente realismo capace di imprimere alla storia quella (anche spudorata) potenza necessaria per affrontare un simile argomento. E, no, nemmeno lui merita il premio Oscar.
Eppure The Danish Girl rimane una stria d’amore e di libertà grazie alla splendida interpretazione di Alicia Vikander (Ex Machina, Il sapore del successo, Il quinto potere, Anna Karenina), Gerda Wegener. Tutta la forza sta nella figura di una moglie a tal punto innamorata di un uomo che piano piano le scivola via dalle mani da permettergli di allontanarsi in un’altra dimensione esistenziale, dando un significato vero alla parola amore, proprio come David Foster Wallace diceva: “non è solo un sentimento, è un modo di vivere la vita come se si fosse una persona sola”.
Così, la prima scelta di libertà viene compiuta dalla moglie, da una donna che sceglie di dimenticare l’uomo che ha conosciuto e di cui si è follemente innamorata per rendere libera la donna che in quell’uomo era incatenata. Sono suoi i sentimenti che con forza emergono dalla pellicola e che colpiscono lo spettatore sullo stomaco; sue le lacrime di rabbia, insoddisfazione, senso di colpa e solitudine che si ha voglia di asciugare.