Falstaff, il pingue, ingordo Falstaff, noto per le dimensioni spropositate della sua pancia e del suo appetito, è il protagonista assoluto di questa commedia. La sua figura, rappresentazione archetipica del vizio, riempie il palcoscenico, invadendolo di vita. Una vita dissoluta, che mal si adatta ai costumi morigerati della monarchia inglese, che lo considera la personificazione degli istinti più bassi dell’essere umano, e per questo se ne prende gioco senza pietà.
Falstaff è il re della taverna, e trascorre la sua vita tra buon cibo, vino e donne, soddisfacendo i suoi bisogni primari e ordendo trame amorose per diletto, oltre per procurarsi qualche borsa di denaro. Possiede il titolo di cavaliere, ma sembra che gli sia stato incollato addosso, tanto è lontano dal suo stile di vita e dai suoi valori, o meglio dalla loro mancanza. E se è vero che può vantare un passato glorioso di battaglie, ormai il suo corpo, appesantito dalla pigrizia e dagli eccessi, gli concede a malapena il lusso di spostarsi dalla tavola alla vasca da bagno, o se mai nel letto di una donzella.
La sua leggenda nasce nell’Enrico IV, che vede Falstaff fa nei panni di “cattivo mentore” del giovane principe Hal (futuro Enrico V), che una volta indossata la corona non esita a ripudiare il vecchio amico. Il suo personaggio però calca il palcoscenico abbastanza da conquistare la Regina Elisabetta, che commissiona a William Shakespeare una commedia che gli dia lo spazio e la dignità che merita, ed è così che Falstaff incontra Le allegre comari di Windsor.
La commedia vede Falstaff immerso nel suo ambiente naturale, la taverna, intento a corteggiare due ricche donne sposate, la signora Ford e la signora Page, più che per la borsa dei loro mariti che per un reale interesse per le donne. Un piano che viene presto svelato quando le due donne ricevono la stessa lettera d’amore e decidono di vendicarsi dell’ignaro Falstaff, attirandolo nella loro rete per poi umiliarlo pubblicamente.
Una commedia crudele che Marco Carniti traduce per il Globe Theatre di Roma con la leggerezza dell’ironia, mascherando il dramma esistenziale di Falstaff, con la goliardia del fool, archetipo shakespeariano che calca il palcoscenico nella persona fluida di Quickly, sottile tessitore di inganni come il miglior arlecchino servitore di due padroni.
Una natura ambigua a policromatica accomuna tutti i personaggi della commedia, che travestono corpi e intenzioni continuamente, mutando forma e atteggiamento a seconda della situazione. Uomini e donne, gentiluomini e furfanti, fedeli e traditori, non esiste una veste in cui riconoscersi, perché i costumi mutano a seconda dell’umore, assecondando le oscillazioni della storia. Ed è proprio la fluidità dei costumi che caratterizza questo adattamento, conferendo a un classico del teatro shakespeariano un guizzo di modernità in grado di rendere una commedia degli equivoci un dramma universale, in cui non c’è spazio per il giudizio morale tra bene e male, solo per l’essere umano nell’arcobaleno delle sue emozioni.