Fiuggi Film Festival

Fiuggi Film Festival 2016 – Cloudy Sunday, di Manousos Manousakis

Cloudy Sunday è una nota canzone di Vassilis Tsitsanis, che racconta la fame, la miseria, la paura, gli arresti e la repressione che hanno subito gli abitanti di Tessalonica durate l’occupazione tedesca del 1942. Tutto il dolore del popolo greco è condensato in questi versi, che traducono in musica l’atmosfera di terrore e disperazione che avvolgeva la città, mentre la comunità ebraica veniva sterminata dai soldati nazisti. Manousos Manousakis prende in prestito la musica di Tsitsanis e la trasforma in immagini nel suo film, che per la prima volta porta sul grande schermo la più grande persecuzione ebraica in Grecia.

Manousakis dipinge il suo film su uno scenario di terrore, imbrattato di sangue, ma allevia il tono della storia raccontandola attraverso gli occhi di due innamorati sfortunati, George ed Estrea, un cristiano e un’ebrea, i cui destini si incrociano nel momento di maggior crudeltà dei soldati tedeschi, che stanno rastrellando la città per privare gli ebrei di tutti i loro beni e relegarli nel ghetto. Nonostante il pericolo incombente, i due ragazzi combattono fino all’ultimo sangue per aiutare i loro concittadini, e per vivere il loro amore a prescindere dalle convenzioni sociali che li vorrebbero sposati con ragazzi della loro stessa religione.

Il fil rouge tra la guerra è l’amore è la musica che, suonata illegalmente nei club, si fa portavoce della sofferenza profonda di questo popolo, costretto a vivere costantemente nella paura, ed è su questo elemento che Manousakis punta tutto, dando un taglio insolito e una personalità sofisticata a un film dall’estetica apparentemente televisiva. Toccando le corde del cuore con una rara delicatezza Cloudy Sunday porta per la prima volta alla luce una pagina dimenticata della storia greca e lo fa concentrandosi su una piccola storia d’amore, come tante di quelle che aveva incontrato nelle sue ricerche, ma che più di ogni cosa sa rappresentare il sentimento di quegli anni.

Fiuggi Film Festival 2016: Breaking Chains

“Pensa a una sala di un multisala. Buia, così che le persone sedute all’interno non abbiano altra visione che una parete di fronte, grande e illuminata. Si è in tanti, ma da soli. Tutti seduti, tutti portatori di pesanti catene nel cuore”.

Breaking Chains – Verità che liberano è il tema della nuova edizione del Fiuggi Film Festival, che si terrà a Fiuggi dal 24 al 30 luglio e che invita nuove e vecchie generazioni a rompere le catene che ci tengono prigionieri in noi stessi, per guardare agli altri, al mondo che ci circonda con l’animo libero, a partire dalla sala cinematografica in cui tutti sono soli, ma insieme.
Ad animare la manifestazione ci saranno numerose anteprime mondiali e nazionali e una ricca retrospettiva sui lungometraggi più interessanti della stagione passata. I Was There, di Jorge Valdés-Iga, basato sulla storia di un pompiere sopravvissuto al crollo delle Torri Gemelle nel 2001 e sopraffatto dai sensi di colpa per essersi salvato, sarà presentato al festival alla presenza del regista, insieme a Magallanes, regia e musica di Salvador del Solar, vincitore del Premio Goya per il miglior film latino-americano; Keeper, di Guillame SenezThe Memory of Water, di Matias Bizee, premiato come miglior regia al Festival de Cine Iberoamericano de Huelva;  Cloudy Sunday, di Manoussos Manoussakis, anch’esso presente a Fiuggi; Coconut Hero, di Florian Cossen; e The Weather Inside, di Isabelle Stever.

Tra gli ospiti presenti al festival i registi Valdés-Iga (I Was There) e Manoussakis (Cloudy sunday); e ancora Alex Infascelli e Emilio D’Alessandro, rispettivamente regista e protagonista del documentario basato sulla storia di D’Alessandro, autista personale di Stanley Kubrick. Al festival anche Antonia Truppo, David di Donatello 2016 come attrice non protagonista di Lo chiamavano Jeeg Robot, di Gabriele Mainetti.

Nel corso del gala di chiusura verranno assegnati al film più aderente al claim di quest’anno Breaking Chains – Verità che liberano, il Premio della Giuria Giovani composta da ragazzi di età compresa tra i 15 e i 25 anni provenienti da tutta Italia; ilPremio Arca Cinema Giovani; il Premio della Stampa attribuito da una giuria di giornalisti presieduta dal direttore dell’ufficio stampa Paolo Piersanti; e il Premio della prima edizione del concorso 111FFF al miglior cortometraggio realizzato in centoundici ore.

In programma prevede anche una serie di incontri di approfondimento sulla produzione e distribuzione cinematografica con Simone Isola, produttore di Non essere cattivoVincenzo Scuccimarra, sceneggiatore del documentario S is for StaleyAlberto Caviglia, regista di Pecore in ErbaSabina Guzzanti, regista del documentario La trattativa; e Matteo De Laurentiis, produttore Cattleya, e una serie di workshop di approfondimento sul videomaking e sulle serie televisive. Tutti gli eventi della manifestazione sono ad ingresso gratuito.

Per consultare il programma completo e scoprire tutte le novità dell’edizione 2016: www.fiuggifilmfestival.com

Fiuggi Film Festival – Nobody From Nowhere, di Matthieu Delaporte

Uno, nessuno e centomila. Sébastien Nicolas è un illustre sconosciuto, un agente immobiliare di media statura, con i capelli castani e gli occhiali. Uno qualunque, che passa inosservato dietro il suo impermeabile grigio, e che farebbe qualunque cosa pur di distinguersi. Ma la sua invisibilità è proprio ciò che lo rende diverso dagli altri, e ciò che gli dà l’idea per cambiare la propria vita per sempre. Sébastien infatti non si limita ad osservare gli sconosciuti, ma li scruta, studia il timbro della loro voce, ne imita gli atteggiamenti e nell’oscurità della sua casa riproduce i loro volti su una serie infinita di maschere di lattice. Ogni giorno cambia volto, abiti, e almeno per poche ore si illude di vivere una vita che non gli appartiene, poi scompare e torna al suo anonimo impermeabile grigio.

L’ultima vittima della sua ossessione è un cliente dell’agenzia immobiliare, il violinista misantropo Henri de Montalte, che si è ritirato a vita privata dopo un incidente che gli ha danneggiato le mani. Sébastien costruisce la sua maschera come da copione e, poco a poco, si intrufola nella vita del violinista al punto da fondersi con lui. I due personaggi sono indistinguibili l’uno dall’altro, due età della stessa vita e, per accentuare l’effetto di straniamento, per interpretare entrambi i ruoli è stato scelto lo stesso stesso attore: il regista Mathieu Kassovitz. Ma proprio nell’istante in cui i due personaggi sono più vicini, Sébastien non si lascia sfuggire l’occasione di prendere per sempre il posto del violinista e, mettendo in scena un macabro suicidio, apre il sipario sulla sua ultima commedia.

Nobody From Nowhere è un gioco interminabile di maschere, in cui diverse personalità si sovrappongono sulla stessa coscienza, penetrano nelle pieghe del volto, e lo divorano per dargli l’espressività che gli manca. Matthieu Delaporte guarda il mondo attraverso gli occhi di Sébastien, dal suo punto di vista ossessivo, e racconta la sua storia indugiando sui toni cupi del thriller, che accentuano l’orrore di un’esistenza segnata dal vuoto esistenziale. Questo è ciò che spaventa di più: l’assenza di identità in un essere umano e la necessità di cucire su di sé quella di uno sconosciuto, di respirare l’ossigeno di un’altra persona per poter sopravvivere, e Delaporte attraverso la sua narrazione ha il potere di trasmettere il medesimo male di vivere del protagonista, e il male incurabile di una società malata, troppo concentrata su se stessa per accorgersi della sofferenza di chi le cammina accanto.

Fiuggi Film Festival – A Thousand Times Good Night, di Erik Poppe

Rebecca è sempre in prima linea nel cuore dei conflitti umani, negli accampamenti alla deriva del mondo come sui campi di battaglia più caldi, e il suo unico obiettivo è turbare l’Occidente indifferente, attrarre l’attenzione degli spettatori distratti, che sfogliano le pagine di gossip sorseggiando il caffè, e spingerli all’azione. Questa volta sta disegnando il ritratto di una giovanissima attentatrice suicida, che si sta preparando per il suo ultimo viaggio verso il centro di Kabul. Il suo corpo viene lavato con cura e accarezzato dalle sue sorelle come quello di una dea, vestito con cura con un ordigno artigianale, e pronto ad esplodere nel quartiere più popolato della città. A costo della vita, Rebecca segue la donna fino in fondo alla sua missione, per catturare gli ultimi istanti della sua vita ma, quando la bomba esplode, la morte la inghiotte.

Al suo risveglio, l’incubo si dissolve nello sguardo del marito e delle sue figlie, che per mesi l’hanno aspettata a casa con il cuore in gola, pronti a ricevere da un momento all’altro la notizia della sua morte. Rebecca torna a casa con il corpo e la mente a pezzi. Il ritmo della vita familiare scorre lento, troppo lento per una che come lei trae nutrimento dall’azione frenetica, e quando arriva la chiamata per la prossima missione si trova di fronte alla scelta più difficile della sua vita: da una parte il suo lavoro di fotoreporter di guerra, dall’altra la sua famiglia.

L’occhio di Rebecca, unito alla sua straordinaria sensibilità, le permette di salvare un numero infinito di vite attraverso le sue fotografie, ma Erik Poppe mette in contrapposizione questo dono così prezioso con la responsabilità di una madre verso la propria famiglia. Che valore ha l’amore esclusivo per i figli rispetto all’amore universale? A Thousand Times Good Night si interroga costantemente sul coraggio di scegliere, e di seguire la strada per la quale si è nati senza guardarsi indietro, a costo di restare soli e di far soffrire chi resta a casa ad aspettare. Poppe non prende una posizione, ma si limita a mostrare l’essere umano al suo stato più puro, con un occhio talvolta crudele, ma abbastanza espressivo da scuotere le coscienza dello spettatore con pochi, brevi scatti.