Kore'eda Hirokazu

Ritratto di Famiglia con Tempesta, di Kore’eda Hirokazu

Non molti lo sanno ma alcuni piccoli cinema italiani che hanno il coraggio di non  proporre solo quello che impone il mercato e condividono con gli spettatori quello che merita di essere visto, hanno reso possibile ammirare una piccola perla di film che proviene dal Giappone. Il merito della distribuzione va  alla Tucker Film, casa di distribuzione indipendente che ha il merito di occuparsi con una certa cura della trasmissione di un valido cinema popolare asiatico.

Si tratta di Ritratto di famiglia con tempesta (titolo originale After the Storm), una pellicola di Kore-eda Hirokazu, regista dal talento riconosciuto in Europa e celebrato da alcuni importanti riconoscimenti, tra cui  riconoscimento di essere selezionato a Cannes per la categoria Un certain regard. Con questo film, il regista di pellicole di successo come Little Sister e Father and Son, si cimenta di nuovo con un home drama e conferma una particolare sensibilità nel trattare temi legati al microcosmo familiare che sa ricostruire in modo originale, delicato e veritiero nonostante – o forse proprio grazie a – un realismo intriso di magia.

La storia ruota intorno a Ryota,  investigatore privato con il vizio del gioco d’azzardo e una sfiorata carriera letteraria alle spalle, ex marito senza più alcuna credibilità e padre assente di un bambino su cui cerca maldestramente di fare colpo. Per la società giapponese un individuo del genere è un loser, uno sconfitto che non contribuisce in alcun modo alla propria carriera personale né tanto meno alla società. La totale inadeguatezza di Ryota alla vita viene simpaticamente e benevolmente sottolineata dall’anziana madre, la signora Yoshiko. Rappresentanti di due generazioni di rassegnazione che però agiscono e reagiscono alla vita in modo totalmente diverso. Sarà una tempesta a portare scompiglio nelle loro vite e a lasciare dietro di sé almeno una spiraglio di quella serenità tanto faticosamente inseguita.

Fulcro centrale di questa favola moderna è la madre di Ryota: un personaggio fenomenale e un interpretazione ancora più grandiosa di Kiki Kirin. In lei i gesti quotidiani di una vita di sacrifici e di rinunce si traducono in una fierezza e compostezza che fanno quasi commuovere. Sguardo acuto, battuta sempre pronta, una forza indomita e una resilienza pacifica, questo personaggio si erge tra gli altri come un gigante ed è impossibile non innamorarsi di lei. Una figura fortemente autobiografica come il regista ha rivelato durante la conferenza stampa tenuta alla fine dell’anteprima romana del film, confermando che nella figura di questa donna ha voluto rappresentare il personaggio più forte e con più anima della storia.  Kore-eda Hirokazua e Kiki Kirin avevano già lavorato insieme in Still Walking (2008) e il regista ha voluto confermare lei nel ruolo della capofamiglia perché la sovrapposizione con la vera madre risulta naturale e talmente ben riuscita da averlo addirittura emozionato durante le riprese. Interessante la curiosità rivelata per costruire il personaggio: gli occhiali da vista utilizzati dall’interprete per il film sono quelli realmente appartenuti al genitore defunto del regista.

Questa madre delicata e forte allo stesso tempo parla con una serie di gesti che sanno di rituali preservati nel tempo, come il gelato al limone preparato con troppa acqua e poco sciroppo e tenuto troppo a lungo nel congelatore. Alle tante increspature che la vita le mette di fronte questa piccola donna sa reagire con un’ironia sottile a cui è impossibile resistere. Studia i grandi musicisti classici del passato, sogna la casa grande che non ha mai avuto e rimprovera il defunto marito per la sua vita dissoluta ma teme che il suo fantasma possa perseguitarla. Coltiva sul balcone un albero di mandarino che non da frutto, in cui ammette di rivedere la figura del figlio a cui si dedica con la stessa  amorevole dedizione. Nelle sue assurde parole e nei suoi silenzi profondi si percepiscono in controluce delle verità che lasciano spiazzati.

La figura di questa donna, sposa paziente, madre rassegnata e nonna affettuosa ispira la fiducia di chi organizza le cose in modo magico, grazie alla sapienza di chi sa vedere molto oltre le apparenze e all’autenticità di chi non teme giudizi. Sarà lei, moderna versione del demone benevolo di tante favole giapponesi, a ricomporre i pezzi della famiglia del figlio, riunendoli intorno al piccolo focolare domestico grazie alle forze della natura che sembrano muoversi secondo i suoi piani.

Contraltare di questo modo di porsi nei confronti di una vita ingiusta ma tutto sommato preziosa è il figlio Ryota, interpretato dall’irresistibile Abe Hiroshi, un uomo-riccio a cui gli aculei servono come gentile strumento di difesa per un mondo a cui è totalmente inadatto. Domina la scena con uno sguardo annoiato, indifeso, cercando di districarsi tra il mare di responsabilità per cui non si sente all’altezza e la frustrazione di una carriera letteraria che brama e al tempo stesso teme. Egocentrico, capriccioso e svogliato vediamo Ryota alle prese con una ex moglie ferrea e categorica che lo richiama all’ordine e al suo ruolo di padre. La delusione verso se stesso del protagonista dura un attimo, poi torna il sognatore creativo, appagato delle proprie fantasie e incapace di redimersi. Nelle sue debolezze si realizza un cortocircuito tra la realtà e il mondo dei sogni, quello in cui è uno scrittore famoso e la sua famiglia lo adora. Ogni volta che sembra compiere un’azione responsabile, irrimediabilmente ricade nella solita consuetudine di scansafatiche. Quasi una schema poetico dell’anti-eroe.


Lo spessore di questo strambo protagonista emerge quando si mostra per quello che è realmente, con le sue debolezze e i suoi limiti, messo a nudo dalla tempesta e quando, nel finale, fa pace con la sua storia personale scoprendo quanto il defunto padre fosse orgoglioso del suo successo come scrittore. Una vittoria personale sommessa, senza fanfare ma fortemente sentita e riabilitante.

I personaggi sembrano quelli di un film dal cui comportamento alla fine dovremmo trarre una morale. E invece questo non accade neanche per sogno. Il regista gioca continuamente con l’assurdo delle nostre convinzioni (o convenzioni) e continuamente toglie terreno da sotto i piedi dello spettatore,  facendolo simpaticamente impantanare nelle assurdità di una famiglia che ritrova forza e credibilità nei rapporti umani reciproci appunto dopo una tempesta fatta di incomprensioni, silenzi, egoismi e ricatti.

Ritratto di famiglia con tempesta realizza con un linguaggio fresco e originale un affresco sulla meschinità e sulla purezza dei nostri tempi. Lo stesso regista racconta di aver preso spunto da un pensiero fondamentale “Non tutti diventano quello che volevano essere”. Vediamo infatti i suoi personaggi muoversi nella storia chiedendosi, con più o meno consapevolezza, dove hanno sbagliato nella vita: nessuno di essi, spiega il regista durante la conferenza stampa tenutasi alla Casa del Cinema di Roma, è riuscito a raggiungere il futuro che voleva. La consapevolezza che risuona tra le righe è che il mondo degli adulti a un certo punto non si chiede più “chi vuoi essere?” e si lascia tristemente trasportare dalle abitudini, dimenticando sogni e sentimenti.
Il regista, attraverso la figura della madre, ribadisce però che è sempre possibile amare il presente nonostante la tempesta o, metaforicamente, proprio grazie ad essa perché gli sconvolgimenti mescolano le carte in tavola e nascondono opportunità inaspettate. Alla fine di una vita si possono riconoscere i valori veri e si  può comprendere che tanti silenzi sono stati fraintesi.

Una riflessione interessante uscita in sede di conferenza grazie alle domande rivolte al regista è la diversa percezione nei confronti del protagonista che il pubblico giapponese proverà vedendo il film, rispetto al pubblico italiano.
La figura del fannullone irresponsabile fa parte dell’immaginario e del sentire nostrano, inevitabile quindi un sentimento di tenerezza per l’umanità di Ryota, perseguitato da una moglie eccessivamente rigida. Il regista ha invece assicurato che il pubblico giapponese, in modo particolare quello femminile, proverà una vera e propria repulsione per la figura del protagonista che incarna invece tutti i peggiori aspetti di un padre di famiglia e una forte negatività del personaggio era pienamente nelle intenzioni della sceneggiatura.
Con una girandola di situazioni quotidiane e un tono narrativo leggero questo film suscita un benevolo sorriso finale e realizza un’analisi emotiva mai scontata, sincera e interessante.
Una commedia deliziosa, un toccasana per il cuore: è Ritratto di famiglia con tempesta, una storia intrisa di nostalgia che paradossalmente recupera una speranza inaspettata facendola germogliare proprio dai rimpianti.